«Sono una persona fondamentalmente insicura che cerca di sfidare la vita, facendo cose belle.» Vincenzo Restivo si racconta e parla del suo nuovo romanzo ‘Storia di Lou’.
A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Se ieri vi ho parlato del suo nuovo romanzo ‘Storia di Lou’, oggi vi propongo l’intervista
che Vincenzo Restivo ha rilasciato a
Il mondo espanso dei romanzi gay.
Una chiacchierata che mi ha dato modo di scoprire qualcosa
in più sul romanzo e che ha fatto accrescere maggiormente la mia stima nei suoi confronti. Vincenzo Restivo si racconta, con
assoluta schiettezza, parlando di ciò che lo ha spinto a mettere la sua
esperienza a disposizione degli altri, sia attraverso la sua attività di
scrittore che attraverso quella di attivista LGBT, e lo ha reso «una persona fondamentalmente
insicura» che «cerca di sfidare la vita,
facendo cose belle.»
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D. ‘Storia di Lou’ è
incentrato sul personaggio di Lou, una ragazza a disagio nel suo corpo maschile.
Com’è stato calarsi nei panni di una persona transessuale?
R. Non è stato
complesso. All’arcigay di Caserta dove
sono anche consigliere, quella trans è una realtà che respiro. È il mio
quotidiano e sarebbe più strano se non ci fosse. Grande è stato l’aiuto,
volontario e involontario, che mi è stato dato. Del resto basta viverle le cose
e sulla carta, poi, diventa tutto più semplice.
D. Non
nascondiamocelo, le persone transessuali sono in qualche modo più discriminate
delle persone omosessuali. Secondo te perché il pregiudizio su di loro non
riesce a diminuire? Colpa dei media, colpa loro o colpa della gente che non
vuole accettare altre possibili varianti della sessualità?
R. Viviamo in una
realtà eteronormativa e chi squilibra questa linearità di facciata è un
elemento da eliminare, come un brufolo antiestetico che vorresti schiacciare. E
il paragone rende proprio l’idea. E mi riferisco soprattutto a quel
tradizionalismo monocromatico che non lascia spazio alle sfumature. I media,
d’altro canto, per ignoranza e impreparazione fanno poca informazione e quella
poca che fanno, il più delle volte è errata. Sbagliare (volontariamente), un
pronome in un articolo di giornale, a
esempio, è già fare cattiva informazione. Se una ragazza M to F ( Male to Female) me
l’appelli al maschile, c’è di base qualcosa che non va. Lessi una notizia tempo
fa, parlava di una transessuale morta ammazzata. L’articolo riportava il
seguente titolo: UOMO AMMAZZATO A COLTELLATE. A seguire il suo nome anagrafico
e l’immagine di una ragazza che di maschile non aveva nulla. Ciò ti fa capire
che c’è, purtroppo, ancora tanta confusione e poca propensione alla
comprensione.
Continua sotto...
D. Nella storia hai
affrontato il disagio dell’anima e del corpo anche attraverso gli altri
personaggi. C’è chi soffre di depressione, chi è affetto da autismo e chi,
invece, è nato paraplegico. Sbaglio se ipotizzo che hai voluto analizzare i
vari modi con cui un’anima non è in pace con se stessa?
R. Non sbagli. Lo
scopo era proprio questo. Tant’è vero che ‘Storia
di Lou’ si apre proprio con un suicidio,
conseguenza del male dell’anima per eccellenza. Tuttavia la mia
intenzione era anche quella di riuscire, attraverso soprattutto un linguaggio
senza filtri, a esorcizzarlo un po’ questo male, ad affrontarlo a viso scoperto,
con la caparbietà tipica di chi è stato segnato dal dolore.
D. Sebbene ‘Storia di
Lou’ rientri nel genere di formazione, a differenza dei tuoi romanzi precedenti,
il linguaggio usato è più esplicito. Com’è stato cimentarti con questa nuova
veste?
R. Come dicevo in
precedenza, il linguaggio è volutamente esplicito, rozzo, spesso blasfemo. Ma
era inevitabile. Il dolore si affronta anche in questo modo, altrimenti ti
annienta e vince lui. La lingua è fondamentale in questa guerra, è un’ottima
arma. Da piccolo mi dicevano spesso: “impara a sciogliere la lingua, “caccia a’
lenga” come si dice dalle mie parti. La lingua è vero che ti salva.
D. Ci sono due
aspetti, in particolare, della storia che mi hanno colpito. Il primo è la
difficoltà di Lou, ma anche di Even, di trovare qualcuno che li possa amare per
ciò che sono. Anche qui ci ho visto un tuo tentativo di mettere in risalto l’affettività
di chi ha una qualche diversità fisica, sbaglio?
R. L’intenzionalità
era quella di raccontare il dolore e la sua sconfitta attraverso il corpo e i
tormenti che esso stesso conserva: quello mutilato di Lou, le gambe senza vita di Even, così come Eli con
le mani martoriate in cerca di insetti nel terreno e l’autismo che non le
permette di connettersi col mondo. Ma forse è un bene, quando il mondo di fuori
è terribile, quando tua madre muore suicida impiccata al lampadario della sua
stanza da letto. Dico: in casi come questi forse è un bene non riuscire a connettersi
con la realtà di fuori.
D. L’altro è
l’incapacità di una persona di accettare la morte di chi si ama, annientandosi
pur di non affrontare la realtà. Secondo te, cosa scatta nella mente di una
persona in certi momenti?
R. Non credo si
tratti dell’incapacità di accettazione della perdita, mi riferisco più che altro
al rifiuto della realtà, alla negazione di quel distacco necessario per il
raggiungimento di una consapevolezza più tangibile. A Lou le hanno sempre
nascosto delle cose, segreti che sua madre Carla stessa si è portata fin dentro la tomba e ora lei è
da sola ad affrontare sia il distacco improvviso, sia il fantasma di un ricordo
fin troppo mitizzato.
Continua sotto...
D. Nel romanzo scrivi:
“Sono solo l’immagine del sogno che ho sempre di me. Io continuo a essere così,
il sogno che voglio. Ma sotto i vestiti, resto sempre la realtà al risveglio.»
A parlare è Lou, ma io voglio girare questa parole a te: qual è l’ immagine che
hai di te e qual è la realtà che sei?
R. Non ho molta
autostima. E questo si evince quando parlo in pubblico e blatero cose
sconnesse. Un’amica mi diceva che la seconda paura più grande dell’uomo, dopo
quella di morire, è proprio quella di parlare in pubblico. Ecco, quando penso a
me e all’immagine che ho di me, mi figuro su un podio a blaterare cose
sconnesse mentre guardo la faccia interrogativa dei presenti che stanno lì lì
per alzare i tacchi e andare via. E per un autore non è il massimo. Credo, per
questo, che l’immagine che ho di me sia alquanto coerente con la realtà che
sono.
D. Noi ci conosciamo
soltanto tramite i social e gli incontri su questo blog, eppure la tua storia,
la tua voglia di trasformare il bullismo subito da giovane in qualcosa di utile
per aiutare i più giovani, ai miei occhi, ti rende una persona degna di
ammirazione e di rispetto. Proprio per questo non mi spiego il perché di questa
poco autostima. Da cosa nasce questa percezione?
R. Mi sono più spesso psicanalizzato, lo giuro, ma senza
risultati rilevanti. Credo dipenda dall’infanzia, senza dubbio. Il bullismo
subito, per quanto non abbia mai sfiorato la violenza fisica, mi ha segnato nel
bene e nel male. Gli insulti, le derisioni e l’isolamento che mi imponevano i
miei compagni, da ragazzino, sono stati il risultato di quello che sono oggi:
una persona fondamentalmente insicura che però ogni tanto cerca di sfidarla
pure la vita, un passo alla volta, facendo anche cose belle. Parlare attraverso
i libri o essere consigliere di un’associazione lgbt, sono due di questi passi.
D. Lou in qualche
modo trova la sua dimensione e trova anche una certa serenità. Anche per questo
voglio chiederti: sei felice? Sei soddisfatto della tua vita?
R. Stavolta non
ti so rispondere. Non lo so se sono felice. Questo che sta finendo, per me, è
stato un anno di perdite importanti, sconfitte dure ma anche di conquiste concrete.
Ma non sono soddisfatto. Io non lo sono mai. Eppure ho i libri e la scrittura
che mi salvano sempre.
D. Perché non sei mai
soddisfatto?
R. Perché sono un
sognatore. E i sognatori idealizzano troppo. E l’idealizzazione nuoce
gravemente alla felicità. Ce lo diceva anche Gore Vidal in ‘Statua di
Sale’.
D. Che cosa credi ti
manchi per essere felice?
R. Un lavoro
redditizio, una casa, un amore. Eppure un caro amico, Simone Di Giacomoantonio, nel suo film ‘My Nature’ dice una cosa di questo tipo: “Mi sono sempre detto che
sarei stato felice solo il giorno in cui avrei incontrato la donna della mia
vita, avrei avuto la macchina della mia vita e abitato nella casa della mia
vita. Poi però mi sono accorto che non era quello che volevo realmente e che la mia vita la stavo già vivendo”.
Bello no?
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D. Per terminare
voglio tornare al romanzo. Da scrittore con attivo già tre pubblicazioni e
un’altra in uscita a Marzo, che valore assume nella tua vita Storia di Lou?
R. Lou segna l’inizio e la fine di un periodo della mia esistenza
colmo di nuove consapevolezze. E quando capisci delle cose nuove, è sempre un
bene, anche se questo comporta delle perdite: luoghi, amori, amici. Lou sono
anche un po’ io, con quella grinta che forse in passato un po’ mi mancava.
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