«Mai legittimare violenza e bullismo. Essere gay non è sbagliato.» Intervista allo scrittore AL.

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Ieri vi ho parlato del romanzo autobiografico 'Nulla Fallisce' e oggi vi proponiamo l’intervista al suo autore, AL, un ragazzo di 33 anni della provincia di Treviso. Scoprirete un giovane in gamba, che con le sue sole forze ha affrontato una vita difficile, trovando la forza di trasformare il suo vissuto in un documento valido sia per coloro che si sentono soli sia per chi potrebbe aiutarli.

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D.  Con 'Nulla fallisce', il tuo primo romanzo, hai voluto raccontare il tuo personale percorso di crescita. Ci racconti come è nata l’idea e quanto hai impiegato a realizzarla?
R. Quando tre anni fa mi decisi a trasformare una scaletta iniziata nel 2002 in un romanzo, la scrittura si rivelò presto un’esigenza alla quale non riuscivo più a mettere un freno. Infatti scrissi ogni giorno per cinque mesi senza avere mai un blocco o un ripensamento. Durante quel periodo interruppi la lettura di romanzi e saggi per evitare che influenzassero il mio modo di scrivere, nei termini e nelle espressioni. Una volta terminato lo lasciai riposare, come il pane, ma per un tempo più lungo: quattro mesi. Dopodiché lo rilessi tre volte, alternando la versione stampata a quella a video.

D. Hai appena detto che scrivere questo romanzo è stata un’esigenza personale. Che vuoi dire?
Volevo iniziare a scrivere il romanzo già nel 2002, come riporta la data del file con la scaletta. Ma gli eventi vissuti erano troppo recenti, e non avendoli ancora elaborati mi sembrava che il mio futuro, e inevitabilmente quello del romanzo, fossero destinati a un fallimento. Perciò mi limitavo saltuariamente ad aprirlo e aggiornarlo con un ricordo o un nuovo evento significativo.
Nel luglio del 2013, quando riaprii il file per aggiungere qualcosa mi accorsi che non potevo; la mia storia era già tutta lì, completa e schematizzata come una lama tagliente. Il mio scorrere le righe era scevro da artefatti sentimenti, mi sentivo imparziale. Ed è stato proprio quel distacco che mi ha portato a scrivere le prime righe.

D. Con te voglio soffermarmi su alcuni aspetti dell’opera e per iniziare voglio partire dal bullismo omofobo. Alberto è un ragazzo timido, grasso per un disturbo alimentare ed è deriso dai compagni di scuola.  È costretto a stare sempre in guardia per evitare, sebbene non sempre ci riesca, scherzi al limite del penale, sputi e umiliazioni. La fase dell’adolescenza si svolge fra gli anni ’90 e i primi del 2000, eppure sembra che i media si siano accorti dell’esistenza del bullismo solo di recente. Come è stato scrivere certi episodi, cosa hanno lasciato dentro allo scrittore e quali aspettative ha generato?
R. Rivedere e rivivere attraverso le emozioni del protagonista tutti quei fatti non è stato facile. Anche perché molti episodi non posso dire che li avessi dimenticati, ma perlomeno chiusi in qualche cassetto della mia mente e facenti parte di un passato che mi ero impegnato per anni a superare. Tra l’altro, gli episodi più atroci erano descritti in delle pagine di diario incollate. Perché avevo l’esigenza di raccontare a qualcuno che mi ascoltasse, una pagina bianca, ma anche il timore che qualcuno prima o poi li leggesse.
Credo fermamente che Internet abbia contribuito a far emergere queste violenze “invisibili” che per anni sono state perpetrate senza che ci fosse l’attenzione e l’interesse di qualcuno a farle cessare. Perché se tutti ripetono che essere gay è sbagliato, una scelta, un disonore e non ci sono esempi concreti che possano far vedere e capire che non è così, è chiaro che le persone rimangono chiuse nel loro preconcetto. Invece è con il confronto tra persone di città diverse, di paesi differenti, di realtà culturali eterogenee che si può arrivare alla verità. Questo è un discorso molto ampio, ma se prima di Internet c’era “solo” la lettura di romanzi, saggi e i viaggi per realizzare un confronto con chi non proveniva dal tuo stesso background culturale, ora, grazie alla rete, l’informazione è alla portata di tutti. Sapere di non essere soli, che quella violenza ha un nome, bullismo, e che è quasi universalmente condannata trasmette la speranza che nel breve futuro sia solo un orribile, ma non dimenticabile, ricordo.
Il mio desiderio sarebbe proprio donare al lettore una maggiore speranza per il presente e il futuro. Gay o etero è indifferente, siamo tutti persone e lo scopo che ci accomuna è lo stesso: vivere la vita cercando di amarci per donare il nostro amore agli altri.
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R. La scuola, intesa come struttura, non ne esce bene. Professori disinteressati, incapaci di entrare in empatia con i ragazzi, interessati solo a svolgere il loro lavoro e, qualche volta, complici degli stessi bulli. Un atteggiamento discutibile ma che ancora è presente nella realtà scolastica odierna.  Come ti spieghi questo comportamento?
D. Il lavoro del docente è tra i più sottopagati e svalutati, un’assurdità. Perché oltre il ruolo di formatore, ovviamente fondamentale, ha anche quello di educatore. Per uno studente fino al termine delle superiori, dopo la famiglia, la scuola è l’ambiente dove trascorre più tempo. E per tornare al discorso di prima, è il primo luogo dove ci si confronta con persone diverse, provenienti da realtà culturali più o meno differenti dalla propria. Difatti è a scuola che nasce il confronto, perché è il primo ambiente dove ci si rende conto che la nostra realtà familiare (intesa nel senso più ampio del termine: opinioni, abitudini, modi di porsi, ecc) non è uguale a quella degli altri. Ed è proprio in questi anni chiave per la formazione dello studente che il ruolo dell’insegnate deve essere, per me, quello di educarli al confronto, alla diversità, al rispetto. Perché solo ascoltando le opinioni di tutti e analizzandole assieme prende forma la coscienza critica, una delle qualità, a mio parere, più utili nella vita.
E questi insegnanti ci sono, esistono; lo stesso protagonista riporta episodi anche molto formativi. Tuttavia manca, sempre secondo me, una verifica sulla qualità degli insegnanti e un giusto compenso per chi svolge con passione e dedizione il suo importante lavoro. Concentrandoci sul discorso dell’omofobia, l’insegnante che non ha letto, viaggiato e confrontato con altri colleghi sulla questione può nutrire dei dubbi sulla condanna o meno della violenza omofoba; quando questo accade si vede nella quotidianità cosa il protagonista è costretto a subire.

D. Passiamo al rapporto con il padre di Alberto: l’uomo è un tipo violento, manesco, incapace di accettare anche lontanamente che il figlio possa essere gay. Come spiegheresti l’atteggiamento ostile, immaturo se vuoi, di alcuni genitori di accettare che il proprio figlio non è come lo si immaginava?
R. Perché i genitori di un ragazzo/a che ora ha trent’anni sono vissuti, generalmente, in ambienti culturali chiusi spesso poco propensi a discutere di temi tabù che portavano solo imbarazzo, come quello di un figlio gay. Quando due persone diventano genitori riversano sul figlio/a sogni e speranze, e spesso, anche se non viene esplicitamente detto, il bisogno di vedere una versione migliore di loro stessi; lo trovo comprensibile. Chiaramente deve essere però solo uno dei desideri. Tuttavia, oltre la salute, l’importante è che sia amato e accettato per far in modo che a sua volta diventi una persona che si ami e che abbia piacere di condividere l’amore con un’altra persona. L’orientamento sessuale, il colore della pelle, la fede religiosa interessa solo a chi non ama abbastanza se stesso. La bellezza sta nella diversità, non nell’omologazione.   

D. L’amicizia è un altro elemento fondamentale del romanzo. Alberto conosce molte persone ma il suo unico amico è Alessandro, il quale è, di fatto, il suo intero mondo. In qualche modo ho avuto come l’impressione che il protagonista fosse innamorato dell’amico anche se non è arrivato a concepire questo pensiero. Mi sbaglio?
R. Il protagonista non aveva gli strumenti sociali e culturali nemmeno per porsi la domanda. Forse lo amava, oppure ha vissuto una delle più alte forme di amicizia (non avendo altri modelli maschili positivi di riferimento). Sarà il lettore a stabilire, in base al proprio vissuto, la linea di confine fra una grande amicizia e un amore.    

D. Il disagio di Alberto deriva da molti fattori ma quello che mi ha colpito è il fatto che nessuno, né parenti, né amici, né conoscenti abbia mai pensato a considerare il suo bisogno di aiuto, che traspare dal suo mutismo, dal suo sguardo e dalla difficoltà di vivere serenamente la propria vita. Pensi che la società di ieri e di oggi sia concentrata su se stessa per cogliere il disagio altrui o che preferisca girare lo sguardo per non farsi carico del bisogno altrui?
R. La cecità autoimposta è una forma di protezione quando non vogliamo né vedere né capire. D’altronde quanti compagni di classe e docenti hanno intravisto, più o meno nitidamente, quello che capitava al protagonista senza intervenire o evitare che accadesse una seconda volta.
Loro, come i parenti, i conoscenti e gli amici, hanno sempre visto di sfuggita; un’istantanea che subito dopo sbiadiva poiché non gli riguardava direttamente. Mi piacerebbe che leggendo il romanzo chiunque abbia finalmente l’occasione di vedere cosa accedeva dietro la porta di un bagno, nel retro del giardino della scuola, nella camera di un hotel durante una gita scolastica. 
Il romanzo induce così il lettore a ripercorrere il proprio percorso partendo dall’infanzia fino all’età adulta; rivedersi in alcuni contesti e situazioni dimenticati obbliga a ricordare, a ritornare nel passato per interrogarsi su quesiti che si credeva di aver chiarito con se stessi e con gli altri.

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D. La musica predomina per l’intero romanzo. Per chi come me ha vissuto l’adolescenza negli stessi anni di Alberto non ha potuto non avere un colpo al cuore.  Per Alberto la musica è la valvola di svago, il modo con cui estraniarsi dallo schifo della vita. Può davvero la musica permettere di volare e dimenticare per qualche momento i momenti negativi?
R. Sono convinto di sì. Il potere della musica è immenso e il rapporto bidirezionale che il protagonista instaura ne è la prova. D’altronde è il medesimo legame che ho io e mi sembra di intuire anche tu!

D. Intuisci bene.
R. A volte è il testo, a volte la melodia; in altre occasioni l’unisono. Puoi ascoltarla quando vuoi e esprimere ogni genere di emozione mentre l’ascolti (ballare, ridere, piangere, urlare), in una parola è libertà.  

D. Per finire, cosa diresti a un ragazzo di oggi che come Alberto è costretto ad affrontare tutto da solo?
R. Che non deve mai legittimare alcun atto di violenze e bullismo. Non ci sono scuse, adesso, nel 2016, abbiamo tutte le conoscenze per sapere che essere gay non è né sbagliato né giusto; è quello che una persona è. Se un ragazzo ha difficoltà ad accettarsi ne parli con un adulto o un amico/a che ritiene affidabile. Perché costruirsi colpe nella testa dettate dall’ignoranza di alcune persone non ha senso. Se poi in famiglia dovesse percepire una situazione di disagio può parlarne con uno psicologo. Ci sono poi persone dell’Arcigay disposte a fugare dubbi con gentilezza e professionalità anche per telefono. E Internet fonte non solo di dicerie, ma anche di informazione e confronto. Infine leggere e viaggiare. Nulla ci rende più coscienti che siamo tutte persone uguali quando ti rechi un’altra città, in un altro stato. Chi riuscirà ad affrontare anche dei viaggi da solo scoprirà che l'intrinseca umanità delle persone vince sempre sugli stereotipi, se ci comporteremo con rispetto ed educazione.

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