Week end monotematico: Francesco Mastinu - L'intervista. Esclusiva

E con l'intervista all'autore si conclude questo nuovo week end monotematico dedicato a Francesco Mastinu e al suo nuovo libro Polvere
Prima di lasciarvi alle sue parole, però, vi anticipo che settimana prossima ci sarà un nuovo week end monotematico, questa volta dedicato al fumettista brasiliano, autore del libro Rocky e Hudson - i cawbloy gay, Adao Iturrusgrarai che, per la prima volta assoluta, risponderà a un'intervista italiana. Non perdetevi, dunque, questa escluvisa de Il mondo espanso dei romanzi gay. Ora, però, godetevi l'intervista a Francesco Mastinu


Le Interviste
  Francesco Mastinu
   Esclusiva

Nella foto: Francesco Mastinu

Francesco, torni nelle libreria a distanza di poco tempo con un nuovo romanzo dal titolo Polvere, un’opera che ho definito amaramente triste. Da cosa è nata l’idea di questa trama? 
A dire il vero Polvere è il secondo romanzo che ho scritto nella mia carriera di aspirante autore, per cui, a livello temporale, è precedente a Eclissi. La sua elaborazione è stata fin troppo breve: appena due mesi di scrittura per la prima versione, che ho ripreso, integrato, ampliato con più stesure nel corso del tempo.
L’idea che volevo perseguire era quella di raccontare una storia d’amore gay ambientata in Sardegna, ma non in tempi moderni quanto invece nella società tradizionale, e cercare di restituire al lettore una storia sì, con del rimpianto, ma anche con un monito positivo e propositivo per il futuro. Era il lontano 2011, avevo bisogno di ritrovare un po’ le mie origini, e ho cercato di coniugare le due necessità: riscoprirsi e affermare il mio percorso personale. 



Credo che il tema portante di questo nuovo lavoro sia il rimpianto per una vita non vissuta per come si doveva. Che rapporto hai tu con i rimpianti e che peso hanno avuto sulla tua vita? 
Il rimpianto credo che sia una situazione abbastanza comune per tutti: in un certo qual modo non esiste, non credo che un essere umano non possa aver mai provato quel senso di malinconia e di perdita propria delle situazioni o delle cose lasciate scorrere e di sicuro non più avvicinabili. Poi, più le persone sono sensibili, spesso è più forte l’attenzione alle cose perse e ai rischi che la stessa vita ti propone nel momento in cui sei obbligato a scegliere. Ecco, diciamo che nel mio caso il sentimento del rimpianto calzava a pennello e ho cercato di sfruttare quest’opportunità per lasciarmi indietro tutte le sensazioni del mio vissuto personale, per superare lo scoglio. Sì, lo confesso: a livello intimo, scrivere Polvere mi aiutò all’epoca ad accettare il passaggio da una situazione turbolenta, creatasi anche dall’accettazione di se stessi, a un’identità più stabile. 

Con Polvere hai voluto tirar fuori le tue origini. Ambientato in un paesino della Sardegna, la storia di Rino ne mostra gli usi e consumi dal dopo guerra a oggi. Quanto sei legato alla tua Isola e che rapporto hai con essa?  
Essere sardi per noi, vicini o lontani che siamo, è sinonimo di identità. Un comportamento comune per tutti noi, a prescindere dai colori politici, dalle abitudini o da chi amiamo, è quello di vivere la sardità come uno status intimo e intellegibile, che ci differenzia, e nel contempo rendere la nostra Regione una vera Nazione. Capita spesso, anche all’estero, di dire che siamo sardi (e non genericamente“italiani”), perché nell’isola riviviamo noi stessi e in essa ci specchiamo. Poi, il rapporto che noi – che io – possiamo vivere nell’Isola, a livello di claustrofobia o di lamentela per la scarsa opportunità di realizzazione, non ha nulla a che fare col sentimento che ci lega alla nostra terra e – soprattutto – alle nostre origini. Per cui sì, il legame che ho con la Sardegna è forte, e mi guida in molte scelte, per quanto il rapporto invece sia ambivalente, proprio se considero la distanza e anche il senso di vivere comunque “isolati” dal resto del mondo in quanto “Isola”, con la conseguente perdita delle eventuali opportunità. Ma alla fine, lontani o vicini, il desiderio rimane sempre lo stesso: tornare.

Un altro aspetto di Polvere che mi ha colpito è sicuramente il dover nascondersi per via dei pregiudizi e per la paura di deludere chi ci sta accanto. Ammesso che le cose oggi sono un po’ diverse, è anche vero che la situazione non è cambiata poi più di tanto. Infatti, sotto certi aspetti, il libro è contemporaneo. Credi sia possibile che prima o poi questa frustrazione nei giovani gay scomparirà, o quello che abbiamo vissuto noi, si ripeterà anche per quelli che verranno dopo? 
A dire il vero, l’accettarsi per quello che si è, nelle mie intenzioni era proprio il tema centrale della storia, soprattutto il voler rappresentare i due approcci: coloro che per quieto vivere intendono nascondersi, come fa Rino, e quelli che invece preferiscono realizzarsi, a volte sentendosi obbligati ad andare via, come invece fa Bustianu. Purtroppo, l’atteggiamento di “frustrazione” che mette sempre i giovani omosessuali, ancora oggi, in imbarazzo, è proprio il peso della società che, nel bene o nel male, li espone alla lente di ingrandimento, un fenomeno che in luoghi come l’Italia è ancora più accentuato per l’assenza di quegli strumenti normativi volti a far accettare modi diversi di essere e di vivere. Oggi ci dobbiamo quasi “giustificare” per dire che amiamo le persone dello stesso sesso, viviamo l’ansia, in fase di accettazione, per come potrebbero reagire gli altri di fronte a una rivelazione del genere. Ancora oggi ci sono ragazzi giovani e giovanissimi che per questo peso, o per l’omofobia che non viene in alcun modo frenata da chi è preposto a tutelare le persone, che questo peso/senso di colpa/timore non riescono a superarlo. Anche se, rispetto ai tempi in cui è ambientato Polvere, di sicuro se ne parla e ci sono modelli ben differenti dall’immaginario collettivo dell’epoca. Non sono in grado di dire se quest’ansia prima o poi sarà, per le generazioni future, un ricordo, di sicuro sarebbe determinante che a livello normativo e quindi sociale venissero adottati tutti quegli adempimenti che possano aiutare un processo non di tolleranza dell’altro ma di rispetto: bisogna educare le nuove generazioni alla diversità, e che essa va vissuta come risorsa, non solo in termini svalutativi o addirittura terroristici. 

Nuovo libro, nuova copertina e nuova casa editrice. Perché la scelta di non continuare a pubblicare con la casa editrice di Eclissi?
 Non c’è nessun mistero: a me piace sperimentare strade nuove e cambiare, prima di ripercorrere una stessa strada preferisco sempre provare nuove esperienze. E questo lo faccio in primo luogo coi libri che scrivo: finché mi è possibile, voglio provare nuovi marchi e fare nuove esperienze. La continua scoperta è, per me, sempre uno stimolo. La mia fortuna, sinora, è stata il poter comunque scegliere nuove opportunità.
Facendo un bilancio fra la lavorazione di Eclissi e di Polvere, quali differenze hai notato in te e quali invece sono le somiglianze, le caratteristiche che, ormai, fanno parte di te scrittore?  
Secondo me è un po’ presto per fare dei bilanci, più che altro perché sono convinto di essere a un punto di partenza piuttosto che a un punto d’arrivo. Di sicuro Eclissi e Polvere sono due storie diversissime che sono state scritte inseguendo due sentimenti emotivi e due intenti narrativi completamente differenti ma, per quanto mi riguarda, entrambe le storie appartengono a un ben specifico filone a cui afferiscono anche i racconti brevi inseriti nella raccolta “Concatenazioni” e l’altro romanzo inedito che si chiama (per ora) “Falene”: si tratta di storie dove la tematica LGBT è prevalente e che comunque intendono affrontare temi introspettivi: l’amore, la ricerca di sé, l’amicizia. Ecco, più che una differenza fra due testi mi sento di fare una differenza con il Francesco autore che adesso scrive cose più complesse, tematiche sociali che non integrano solo la situazione LGBT ma che ormai dà per scontato (perlomeno in senso letterario) che “l’omoaffettività” esista e che faccia parte dello scibile umano al pari del resto, non più l’idea di un processo intimo che va spiegato al lettore perché ancora si conosce poco (e si rischia di giudicare con inesattezza qualcuno sulla base di chi questo qualcuno ama). Mi viene in mente la tematica del dolore e della malattia che ho affrontato con “Valzer di Famiglia” (altro inedito) o quello della maternità su cui sto scrivendo adesso con il nuovo romanzo. Per cui, credo che sia ancora troppo presto per voltarsi indietro e fare analisi, lascerei questo compito a un decennio almeno, in cui magari ci incontreremo di nuovo e mi farai questa domanda. Me lo auguro che accada, sai perché? Perché questo significherebbe che tu e io nel 2024 non abbiamo smesso di scrivere e pubblicare. Che ne dici, lo appuntiamo nell’agenda?

Appuntiamo!
Per concludere, se dovessi scrivere qualcosa su quello che sta succedendo ora in Russia, come lo faresti?
Beh, di sicuro scriverei qualcosa che dimostri nero su bianco la realtà delle cose. Alla fine credo che quello che colpisca di più sia il dolore della persecuzione, che non penso sia molto diverso dall’omocausto del passato, purtroppo. E non è affatto escluso, che non lo faccia davvero. Anche perché trovo vergognoso il silenzio nostrano sull’argomento, a partire dai politici che dovrebbero condannare Putin e la Russia per questa repressione, anziché minimizzare, se non proprio invocare la stessa normativa anche in Italia.
La memoria non deve essere dimenticata, e bisogna lottare contro qualsiasi forma di discriminazione: è questo il compito della società moderna e della nazione intesa come stato e istituzione. Non è possibile che nel 2014 di moderno accettiamo soltanto il sistema bancario e non il principio di uguaglianza e la lotta senza riserve a chi si appropria di un diritto come quello di dire che ci sono modi di essere giusti e modi di essere sbagliati. Tanto più che non parliamo di reati, ma solo di amore. 
Mi auguro con tutto il cuore che i nostri fratelli russi escano da questa situazione repressiva, e che l’ONU punisca Putin come merita. Mi sento in pieno uno di loro.
Intervista: Francesco Sansone