Week end monotematico: Erin E. Keller - L'intervista

Si conclude con la consueta intervista della domenica anche il week end monotematico dedicato a Erin E. Keller.
Il mondo espanso dei romanzi gay vi da appuntamento il prossimo sabato con Federica Lemme.


Le Interviste

  Erin E. Keller 

Foto scelta da Erin E. Keller
Erin, il tuo ultimo lavoro si intitola Eri come sei, un romanzo che racconta la nascita, non proprio facile, dell’amore fra Daniel e Alex. Come nascono questi personaggi e quanto tempo hai dedicato a finire il romanzo? 
In ogni storia che scrivo c’è un pizzico di me: a volte una battuta, a volte qualcosa in più, a volte un personaggio o un luogo. In questa c’è un’esperienza mia personale, vissuta nel periodo dell’adolescenza. Nel mio caso non aveva a che vedere con la sfera della sessualità come per Alex. Mi è semplicemente successa una cosa che, seppur non drammatica, ha segnato il modo in cui mi vedevo a quei tempi e mi vedo tutt’ora. Il bullismo c’è sempre stato, solo che anni fa si parlava di ‘ragazzate’ o di ‘stronzi’, se mi passi il termine. 
Alex è nato come conseguenza di una riflessione mia, un giorno in cui mi sono soffermata a ripensare a ciò che mi era successo. E mi sono chiesta: può un solo gesto, la cattiveria gratuita degli altri, soprattutto durante l’adolescenza, cambiare la percezione di ciò che sei? La risposta è stata sì e mi sembrava uno spunto interessante per la storia. 
La storia ha avuto due stesure, quindi non so dirti esattamente in quanto tempo l’ho scritta. La prima sono certa che mi ha preso poco più di una settimana, ma era quasi la metà in termini di lunghezza. Quando l’ho ripresa per suggerirla per la pubblicazione, l’ho ampliata e approfondita, inserendo scene che nella prima stesura non c’erano. Direi che in totale potrebbe avermi preso un paio di mesi.



Uno degli aspetti che più mi ha colpito di questo romanzo è stato leggere gli effetti che un gesto omofobo ha avuto sulla vita di Alex. Un gesto che non solo ha destabilizzato il ragazzo, ma lo hanno proprio indotto a rifiutare, a nascondere a se stesso, la propria natura sessuale. Ancora oggi questo aspetto crea diversi danni e disagi ai ragazzi gay. Secondo te, quanto ancora sarà difficile per un giovane gay vivere serenamente la propria sessualità senza sentirsi sbagliato per quello che gli viene detto dagli altri? 
Come dicevo prima, il bullismo in generale è una piaga che dovrebbe essere davvero estirpata dalla società. Quello che ho inserito nella storia non solo è un gesto omofobo, ma è un gesto sbagliato sotto tutti gli aspetti, da qualsiasi parte lo si guardi.  
In un’età problematica com’è l’adolescenza, trovarsi a fronteggiare qualcuno che non solo manca di rispetto a te come essere umano, ma ti ferisce talmente tanto da cambiare la percezione che hai di te stesso, facendoti mettere in dubbio ciò che sei o facendotene vergognare, è davvero difficile da gestire.  
Non saprei onestamente dire per quanto sarà ancora difficile per un giovane gay vivere serenamente la propria sessualità. A volte mi verrebbe da rispondere “poco”, ma solo perché ho la fortuna di essere circondata da persone civili. Non sono ingenua e mi rendo conto che il mondo non è così, ma mi piace anche pensare che faccia più rumore un gesto di omofobia che mille di rispetto reciproco e solidarietà. Sicuramente la situazione è migliorata rispetto, per esempio, a vent’anni fa, ma c’è ancora tanta strada da fare. 


Secondo te, le istituzioni politiche ed ecclesiastiche che responsabilità hanno in tutto questo e dove mancano per porre fine a queste vergogne? 
Se mi metto a parlare delle istituzioni, soprattutto politiche, rischio di dire cose che non dovrei, perché in certi casi sono convinta che ci vorrebbe una punizione ben più dura di quelle che ‘vanno’ qui da noi. Ma del resto, in Italia ti mettono in prigione se sei evasore, ma ti lasciano libero dopo un omicidio, quindi sinceramente sperare in queste istituzioni mi viene davvero molto difficile. 
Sicuramente ci sarebbe bisogno di una presa di coscienza collettiva perché qui non si parla di politica, né di ideali, si parla di civiltà e rispetto del prossimo, di ciò che è. 
E farei un piccolo appunto: magari cerchiamo anche di allargare la sfera delle responsabilità alle famiglie e al modo in cui crescono i loro figli. Crescere un bambino insegnandogli il rispetto per il prossimo, ma anche per le cose e per le idee, sicuramente sarebbe già un buon punto di partenza. 


Anche l’amicizia è uno degli aspetti che è al centro del romanzo, dimostrando come diversi gusti sessuali sono solo dettagli se di base c’è l’affetto. Questo, almeno a mio avviso, rende bene l’attuale situazione che c’è nel nostro Paese: da un lato non ci sono le istituzioni che tutelano la comunità lgbt mentre dall’altra parte la gente comune, almeno una parte, non si ferma alle etichette. Credi che lo Stato saprà seguire l’esempio dei cittadini oppure si ostinerà a continuare per la propria strada? 
Credo che prima o poi ci si arriverà, perché sarebbe davvero triste essere convinti che, come oggi, resteremo indietro rispetto agli altri. Non ho una gran fiducia nel nostro Paese, a essere onesta, però mi rifiuto di pensare che le cose non cambieranno. Magari ci vorrà più tempo, ma secondo me ce la faremo. Gli italiani sono sempre restii ad accettare i cambiamenti, in qualsiasi ambito, ma voglio sperare che, un giorno, cittadini e Stato dialogheranno in modo produttivo. 

La tua bibliografia vede anche altre opere che sono sempre incentrate sull’amore LGBTQ. Come ti sei avvicinata a queste tematiche e perché hai scelto di scriverne pur sapendo che non è un genere facile da “promuovere”?  
Sì, io scrivo praticamente solo storie d’amore gay. Ho iniziato a scriverle anni fa, dopo aver letto alcuni M/M in lingua inglese. Darti una spiegazione razionale del perché mi piace proprio questo genere è difficile. Non c’è un motivo vero e proprio. Semplicemente come a chi piace scrivere fantasy, a me piace pensare a due uomini innamorati. Mi fa stare bene.  
Sono consapevole che non sia un genere facile da promuovere qui. Sottolineo il qui, perché oltreoceano questo filone ha una distribuzione completamente diversa. Però è anche vero che se nessuno dovesse mai cominciare e rischiare… la situazione non cambierebbe. Un po’ come per tutto, del resto. 

The scar e Jerry è meglio sono le prime opere che hai pubblicato con la Triskell Edizioni. Come è nato questo sodalizio? 
Trovare una casa editrice aperta a pubblicare questo genere di storie è stato davvero bello. Quando sono venuta a sapere che cercavano storie da pubblicare anche gratuitamente, mi è sembrata l’occasione giusta per tentare di raccontare qualcosa di diverso dal solito. The Scar era nel ‘cassetto’ da tanto tempo, un racconto che non avevo mai nemmeno pensato di poter pubblicare un giorno, ma mi pareva quello giusto. È una storia che non ha scene di sesso esplicito e ho pensato potesse essere adatta a tutto il pubblico, anche a chi non aveva mai letto storie d’amore gay. E magari, così facendo, la gente avrebbe potuto riscoprirsi interessata all’argomento e magari a leggerne di più. A quanto pare avevo ragione (sorride, ndb). 


Hai partecipato all’antologia di racconti natalizi che la casa editrice, lo scorso dicembre, ha regalato ai suoi lettori. Il tuo racconto, confesso, è stato quello che ho preferito. “L’amicizia” nata per caso fra un ragazzo che lavora come Babbo Natale e un giovane costretto a vivere per strada è davvero ben scritta e bella da leggere. L’idea di questa storia come ti è venuta? 
Ti ringrazio molto! Grazie!  
Sapevo di questa antologia e mi sono messa a riflettere su cosa avrei voluto comunicare per il Natale. E sapevo di voler scrivere una storia che potesse scaldare il cuore, una storia un po’ magica senza però essere fantasy.
L’idea poi mi è venuta dal nulla più completo. Mi è capitato di ripensare a mia nonna, che era sordomuta ma che non comunicava con i segni, e mi è proprio balzata alla mente l’immagine di Lucas che tira la barba del finto Babbo Natale per leggergli le labbra. È partito tutto da lì. 

Secondo voci di corridoio stai preparando il seguito di The scar. Cosa ti ha spinto a riprendere in mano i due protagonisti di questo romanzo breve? 
Nell’ordine: Ryan, che è uno dei due personaggi, i lettori, e le idee che avevo in mente.  
La storia di The Scar era nata appunto come racconto e come tale era stato proposto per la pubblicazione. Era un racconto abbastanza breve e che, mi rendo conto, era stato interrotto sul più bello. Non è stato facile riprenderlo, soprattutto perché essendo scritta in prima persona, temevo di perdere la ‘voce’ di Ryan, ma mi sono accorta che mi sbagliavo, perché era lì che mi aspettava. E devo anche ringraziare il supporto dei lettori che stanno facendo il tifo per questo seguito e l’hanno chiesto più volte, facendomi quasi sentire in colpa (sorride, ndb). 

Per concludere, cosa speri che rimanga delle tue opere ai tuoi lettori? 
Io spero che le ricordino con un sorriso e che, ripensando a ciò che hanno letto, qualcosa dentro si muova e li faccia stare bene. Che siano un bel ricordo, insomma.
Intervista: Francesco Sansone