INTERVISTA: « Ciascuno ha diritto di essere se stesso» Cinzia Nazzareno parla del suo nuovo romanzo Lo scarabocchio.

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A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Dopo avervi parlato del suo nuovo nuovo romanzo Lo scarabocchio (qui la recensione), oggi su Il mondo espanso dei romanzi gay ospitiamo Cinzia Nazzareno, con un'intervista da leggere fino alla fine.

D. Lo scarabocchio è un romanzo con cui viene raccontata la difficoltà di un ragazzo di vivere la propria alterità in un’Italia ancora bigotta e chiusa a temi come omosessualità e transessualità. Come nasce l’idea?
R. Lo Scarabocchio nasce dal bisogno di parlare di temi scabrosi come appunto la transessualità con lo scopo di smantellare- almeno di provare a farlo- i pregiudizi che ruotano attorno a chi è sessualmente diverso e cerca disperatamente di affermare la propria identità di genere senza doversi nascondere o vergognarsi di essere diventato ciò che da sempre sente di essere, restituendo alla capricciosa natura, prima, e all’umanità, dopo, il proprio intimo sentire. Ciascuno ha diritto di essere se stesso al di là di ogni umana incomprensione.
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D. A colpirmi sin da subito è stata la scelta del titolo: Lo scarabocchio. Cosa ti ha spinto a sceglierlo?
R. La scelta del titolo di un libro è sempre un momento delicato poiché spesso è il vero incipit del romanzo o comunque l’indicatore della trama. Riuscire a trovarne uno azzeccato che illumini il lettore e lo conduca verso quella storia e non su un'altra è fondamentale. Lo scarabocchio è l’epiteto con cui  Gianni/Genny  verrà apostrofato in un paio di tristi occasioni da persone che lui ama immensamente e dalle quali non si aspetterebbe mai di essere offeso. Ma spesso la realtà ferisce e delude le nostre più delicate aspettative…

D. Passiamo alla storia. Mi è piaciuta l’idea di partenza con cui la storia prende forma. Albina è una laureanda che per realizzare la tesi si fa raccontare un episodio dalla nonna. Da qui il passato e il presente si fondono e il lettore può avere due visioni sul modo di pensare della gente. Con quale delle due epoche hai avuto più problemi a relazionarti?
R. Scrivere questo romanzo non è stato affatto facile. Inizialmente avevo pensato a un incipit diverso, più banale e scontato forse, ma rileggendolo non riuscivo a convincermene. Se non provo le scosse, il pathos e non mi emoziono e piango, non è il romanzo giusto e so che nessuno lo leggerebbe. E come una sarta, ho provato a imbastire un nuovo modello, più confacente alla storia. Mi sono sforzata di andare indietro nel tempo frugando nei miei sbiaditi ricordi di bambina, usando i racconti quasi criptati di donne del passato che parlando “sottovoce tra di loro” si raccontavano la vita e i suoi misteri e poi come la macchina del tempo, accelerando sono ritornata nel presente, provando a creare un parallelismo tra due epoche lontane nel tempo, ma ancora vicine nella mentalità. Cosa sia stato più difficile sinceramente non so perché avevo alcuni alleati pronti a soccorrermi tutte le volte che pensavo di distruggere il file del romanzo: racconti/ricordi, fantasia, desideri e speranze.

D. La storia è ambientata in un’ipotetica provincia siciliana. In molti sospettano che ancora oggi scoprirsi omosessuali e transessuali nell’isola sia più difficile rispetto ad altre parti del paese. Pure tu di questo avviso?
R. La Sicilia, straordinaria terra dei Viceré e delle bellezze naturali e architettoniche, nonché culinarie, che tutto il mondo ci invidia, è, ahimè, terra che ha coltivato, inconsapevolmente forse, pregiudizi e superstizioni in quantità ancora oggi difficili da debellare.

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D. Un personaggio interessante a mio avviso è nonna Camilla, una donna forte e debole allo stesso tempo, che ha guardato impotente i soprusi verso Gianni/Genny, con la voglia, prima o poi, di poterlo riscattare agli occhi della società. Ti sei ispirata alla tua oppure è un personaggio suggerito dalla tua fantasia?
R. Da piccola ero una bambina curiosa e vivace e, come forse tutti i nipoti del mondo, ho trascorso molto tempo con la mia cara nonna, che mi ha raccontato e insegnato gran parte delle cose che so, poiché la sommergevo di domande alle quali molto spesso rispondeva e qualche volta schivava con la grazia sorniona che la caratterizzava.

D. Per concludere, nel romanzo dici che il compito del sociologo sia quello di analizzare i fatti e raccontarli al fine di cambiare le cose. Io credo che, in qualche modo, anche gli scrittori svolgano lo stesso ruolo. Per questo ti voglio chiedere: cosa speri di lasciare a chi leggerà il tuo romanzo?
R. Lo scrittore spesso è un individuo con una spiccata sensibilità che focalizza aspetti della vita che per altri possono essere irrilevanti e poco necessari. Ho scritto Lo scarabocchio mettendoci dentro tutta l’umanità di cui dispongo; ecco è questo quello che vorrei che gli altri cogliessero dalla lettura del romanzo, un “Nuovo Umanesimo”, capace di portare tutti verso la tolleranza e l’accettazione. Nessuno è perfetto e tutti siamo diversi, per fortuna. Per fortuna ripeto!

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