Pierpaolo Mandetta - L'intervista

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Dopo aver parlato di Cuore satellite, il suo nuovo romanzo, oggi vi propongo l’intervista a Pierpaolo Mandetta.
Se c’è una cosa che apprezzo di questo autore, oltre alla sua scrittura, è la lucidità delle sue parole e del suo pensiero, benché in alcuni punti è discostante dal mio. L’acume, la dialettica, l'umorismo - come si vede anche nelle foto che correlano quest'intervista - e l’essere diretto che si trovano nei suoi testi, appaiono anche quando risponde alle domande che gli vengono sottoposte.
Non è da tutti, soprattutto fra i nuovi autori, essere schietti e non aver paura di dividere il pubblico con le proprie parole, ma lui, sarà perché è anche editore di se stesso, lo fa e ci mette la faccia, e tutto se stesso, per far arrivare i propri lavori.
Nato ad Agropoli nel 1987, Pierpaolo Mandetta cura il blog umoristico Vagamente suscettibile e nel 2015 ha pubblicato l’antologia erotica, Aperti di notte, derivata dalla sua passione per l'erotismo, inteso come prolungamento dell'emotività delle persone, che sfocia nelle fantasie, nei feticci, nelle situazioni inconfessabili. Cuore satellite è il suo nuovo romanzo.

Pierpaolo, non ti chiederò come è nato romanzo e nemmeno se è autobiografico perché in questo caso sarebbe una domanda riduttiva per spiegare la tua nuova opera. Per iniziare, quindi, voglio chiederti cosa ha significato per te scrivere la ricerca di Paolo di colmare il suo disagio sentimentale/affettivo?
Pur essendo un tipo solitario, nella mia vita ho comunque conosciuto molte persone che soffrono. Il dolore ha un sacco di nomi, ma quasi sempre una sola origine: il non sentirsi amati. So che sembrerà melenso o lezioso, ma scrivere questo romanzo ha significato avvicinarmi ai tanti ragazzi che hanno subito questa mancanza, comunissima eppure fondamentale. Ricevere i messaggi di chi si rivede tra le pagine è per me la risoluzione della scrittura. Mi sento capito, e loro anche.
Scrivere Cuore satellite è stato il tentativo di disegnare con le parole una certa sofferenza e darle un volto a cui parlare.
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Passiamo ad analizzare alcuni aspetti che nel tuo romanzo vengono trattati. Iniziamo dall’amore, o meglio dalle relazioni sentimentali. Nel libro vengono descritte come un’interruzione del percorso personale di una delle due parti. Una scelta che porta, poi, a sottostare alle scelte, agli atteggiamenti e ai comandi dell’altro/a. Ci spieghi da cosa nasce questa tua teoria?
Per me ‘amore’ è una parola. ‘Amare’ è un’altra storia. Il mondo ci insegna che vivere in due è meglio, ma nessuno ricorda che per rispettare l’altro e renderlo felice bisogna prima, assolutamente, amare se stessi. Ascoltarsi, impararsi, e solo alla fine decidere di stare con qualcuno. Altrimenti le relazioni, i matrimoni, cominciano come una bella fiaba e dopo un anno si trasformano in una piccola guerra. Una guerra silenziosa in cui si impone all’altro una serie di regole matrimoniali in principio innocue, ma che col tempo strozzano il partner. Lo snaturano. Gli cancellano il suo passato, le sue passioni, il suo modo di prendere il caffè al mattino, di viaggiare, di far visita ai parenti, di stendere i panni. E così, dopo tanto tempo, ci ritroviamo accanto una persona completamente diversa, infelice perché non si rivede più allo specchio. Quante nostre madri hanno sacrificato tutto per la famiglia? Ricordiamo di ciò che erano, e delle loro passioni, solo attraverso le vecchie foto sul comodino.
Le interruzioni sono questo: sacrificare un pezzo di sé per amore. E non c’è niente di meraviglioso in un gesto simile.

Le donne sono un altro tema fondamentale di Cuore satellite. Le donne di oggi e di ieri vengono descritte come martiri consenzienti che accettano le corna, i maltrattamenti e l’indifferenza dei mariti. Con questo non dico che nel libro appare un tuo animo misogino, anzi. Ciò che viene fuori è il tuo amore verso la donna e ciò che scrivi è il resoconto di uno che è cresciuto accanto a loro, conoscendone ogni aspetto. Mi sbaglio?
Amo mia madre. Amo mia nonna. Amo le zie e le parenti che non ci sono più. E le detesto, anche, perché hanno rinunciato a troppo. Le detesto per quegli occhi sempre smarriti e malinconici, mentre tentavano ogni giorno di essere forti. Di resistere. Che brutta cosa, resistere.

Anche il Sud è al centro del romanzo. Paolo dice  che nonostante le sue pecche, la mancanza di possibilità che dà agli abitanti, non potrebbe mai vivere altrove. So che questo è anche un tuo pensiero perché tu, come il tuo protagonista, vivi nella periferia. Cosa ti lega al Sud e cosa ami e odio allo stesso tempo?
Sono dannatamente legato alla campagna. Sembrerò una specie di Heidi provincialotto, ma le grandi città, per me, sono la cosa più malsana e contronatura che l’uomo abbia potuto creare. Bacini di chiasso, smog, urla, traffico, malcontento che marcia per andare al lavoro, alimenti che costano il triplo, e pochissimi colori. Non potrei mai viverci. A casa mia, quando mi affaccio vedo le colline e le pale eoliche, i campi di cavolfiori, e adoro fare ogni giorno a piedi la stessa strada per andare al lavoro, incontrando sempre lo stesso vecchietto, gli stessi gruppi di ragazzi, la stessa madre davanti al fioraio. Mi rassicura. Vado spesso a Milano a trovare mia sorella e il mio “amico di vita”, ma resisto sempre poco. Ovviamente il Sud ha il suo schifo. I servizi pubblici sono disgustosi, le strutture fatiscenti, gli impiegati zotici e incivili, la politica sfacciatamente delinquente, e la cultura è lo zimbello di tutto questo.

Per finire parliamo dei fiori. Paolo è un fiorista, o fioraio che dir si voglia, e leggendo l’amore di cui parla dei fiori ho rivisto te in un tuo video di qualche tempo fa pubblicato sul tuo profilo facebook. Cosa significano per te i fiori, posto che è chiaro che non sono stati loro a renderti omosessuale? (nel dire questo inciso rido.)
Rido anche io. Soprattutto perché credo di aver reso io omosessuali i miei fiori. Allora, diciamola così: ho sempre sofferto d’ansia. A intervalli regolari anche di depressione. Subivo la vita invece di viverla, e non riuscivo ad afferrare i giorni che volavano, mi cadevano dalle mani, non sapevo come diventarne protagonista invece che spettatore. Stavo malissimo, ho visto un analista. La nozione base era “cerca di stare calmo”. Ma non ci riuscivo. I fiori mi hanno insegnato ad avere pazienza. A coltivarmi proprio come una pianta, che ha i suoi tempi. E così ho trovato inutile invidiare il successo degli altri, i sensi di colpa per la mia timidezza e la mia codardia, mentre i miei coetanei saltano su un aereo e vanno da soli ad Amsterdam a farsi il capodanno. Ho imparato a non pretendere troppo da me stesso. Inoltre, viviamo in un tempo che, lo si voglia o no, ci intrappola nel mondo virtuale. Ne siamo vittime tutti. Ecco, i fiori mi hanno aiutato anche in questo. Se ti inginocchi e cominci a travasare una pianta, il tempo passa e non te ne accorgi, la mente si rilassa e vomita i pensieri in eccesso, il corpo si ristora. I fiori hanno il potere di isolarti dal brutto mondo. Li ringrazierò sempre. Tutti dovrebbero avere un cortile per il giardinaggio.
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C’è un ultimo aspetto che vorrei affrontare con te, ma se lo facessi svelerei il finale del romanzo e quindi giro intorno e ti chiedo di parlarmi degli uomini che descrivi. Si tratta di uomini incapaci di esternare le proprie emozioni e i propri sentimenti, di uomini incapaci di restare fedeli alle mogli, e che se lo fanno succhiare senza guardare il genere di chi li soddisfa. Di uomini che, invece, non chiedono altro se dare se stessi alla persona che amano. Ci dici qualcosa su queste tre tipologie che hai descritto?
Per parlare di uomini bisogna anche contestualizzare, altrimenti qualcuno potrebbe accusarmi di fare di tutta l’erba un fascio. Siamo nel 2015, ma nella provincia non è cambiato quasi niente delle dinamiche matrimoniali e familiari. E questo deriva sempre dal fatto che il matrimonio è vissuto come un sentiero obbligato, un dovere sociale, una scelta davvero poco lungimirante, basata su criteri antiquati. Gli uomini, ancora oggi, si sposano perché da soli non ce la fanno, hanno bisogno di una domestica. Certo, all’inizio tanti bacini e mobili nuovi, ma giunge presto il momento in cui ci si ritira stanchi dal lavoro e l’unica cosa che si desidera è il piatto sulla tavola. Inoltre, non sposarsi vuol dire insinuare il sospetto di essere ‘ricchioni’. Le donne, invece, si sposano perché educate a vedere il matrimonio come la salvezza dall’oblio. Essere single vuol dire essere sole. Sfigate. Non avere figli significa non aver seguito la retta via, apparire come monche.
Bene. Da queste situazioni, generalmente, fuoriescono gli uomini di merda. Quelli che, lentamente, si piegano al loro stesso egoismo, perché frustrati, bloccati in una vita che non vorrebbero, ma che altri hanno scelto: le madri ormai anziane, i figli ormai fatti, e che fai divorzi? E poi, che fai, mantieni moglie e figli, e tu vai a stare in un appartamentino vuoto, a pagare un secondo affitto, e chi le lava le mutande? No, la vita è già uno schifo. Il sesso fuori casa è l’unica boccata d’aria. Se è fatto con un uomo forse è meglio, perché il vicinato sparla se ti vede con un’altra donna. Sembrano assurdità, ma sono evoluzioni reali. Sono uomini che, tacitamente, puniscono la propria moglie per il recinto in cui si sono chiusi.
Poi ci sono gli uomini buoni. Quelli sensibili, che vedono la propria esistenza legittimata solo dall’amore che danno, dalla felicità realizzata nell’altri. Sono gli uomini che tutti vorremmo, ma che spesso rifiutiamo, perché essere felici è un compito più arduo dell’essere semplicemente in attesa di qualcuno. Essere felici vuol dire capolinea, e chi non ha risolto i propri tormenti non accetta di fermarsi. Ha bisogno di continuare a lottare.

Per concludere voglio chiederti: sei soddisfatto del riscontro che Cuore Satellite ha avuto fra i lettori? Ciò che è arrivato loro è ciò che è arrivato a te nello scriverlo?
Sono felicissimo. Mi sembra quasi strano, sospetto, che nessuno ne abbia parlato male o che abbia avuto da ridire. Le persone che leggono Satellite vedono una mano amica aperta per loro. E non mi serve altro per esserne appagato.