«Una volta che si inizia a sperimentare, è difficile farne a meno.» Intervista allo scrittore Edoardo B.

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A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Ieri vi ho parlato del suo ultimo romanzo Dal profondo di me stesso e oggi sono contento di proporvi questa nuova mia chiacchierata con Edoardo B. Anche questa volta l'autore non si è risparmiato nel rispondere, parlando a cuore aperto del nuovo lavoro, ma anche delle critiche sterili di qualche lettrice incapace di capire la differenza fra romance e novel (romanzo).

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D. ‘Dal profondo di me stesso’ è il tuo terzo romanzo. Come nasce e come hai sviluppato l’idea?
R. Ho iniziato a pensare alla trama l’estate scorsa. Ero in un periodo un po’nero e ho voluto incanalare il mio caos di pensieri in una storia. Da tempo volevo scrivere di un amore totale, alternativo, sofferente, e anche tentare una struttura a doppio binario, seguendo cioè le vicende di un personaggio in due diversi momenti della vita, infanzia ed età adulta. Ho provato a unire le due cose e ho capito che avrei potuto ricavarci una storia degna di essere raccontata.

D. Hai abituato i tuoi lettori a tematiche sempre forti e anche in questo nuovo lavoro hai affrontato un argomento che potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Questa volta hai messo in conto le critiche gratuite di qualche lettore/lettrice abituato/a a leggere solo i romance male to male?
R. Non le ho solo messe in conto, ma ho proprio preso delle precauzioni per evitare le polemiche. Ho cercato una copertina “dark” e ho steso con cura la sinossi per far passare il concetto che il libro non è un romance e non è spensierato. Non posso lamentarmi dei risultati: chi ama i libri allegri ha capito di stare alla larga dal mio, mentre mi sono fatto nuovi lettori, anche del tutto insospettabili.

D. Entriamo nel dettaglio: nel romanzo affronti il tema della sottomissione e lo fai con la lucidità di uno che conosce gli animi umani. I tuoi studi in psicologia ti hanno aiutato a delineare i profili psicologici dei tuoi protagonisti?
R. I miei studi mi hanno aiutato moltissimo. I due personaggi principali, Hauke e Sergio, hanno personalità forti e complesse, anche strane, in buona parte in opposizione tra loro. La loro sessualità non è stata semplice da descrivere. Non si tratta del BDSM con fruste e manette, quello fisico, a cui i lettori sono in genere abituati, ma di una forma più legata alla sottomissione mentale, all’umiliazione e al feticismo. Oltre alle descrizioni visive, mi sono dovuto concentrare soprattutto sulle sensazioni, sui pensieri e sulle emozioni del protagonista. Ho cercato di spiegare il perché certe cose gli piacessero,  e anche di far passare il messaggio che questo tipo di sessualità ha un suo significato profondo e non è un semplice atto meccanico.

D. Nel romanzo sembra che il bisogno di Hauke di essere sottomesso nasca da un’infanzia segnata dall’indifferenza dei genitori, sbaglio?
R. La sua infanzia l’ha sicuramente segnato. Hauke già da bambino appare insicuro e sensibilissimo, assorbe ciò che gli sta attorno come una spugna. L’indifferenza dei genitori, la loro – presunta o reale − preferenza per la figlia maggiore e le angherie dei coetanei gli hanno reso da subito la vita difficile. Inoltre, la sua forte sensibilità l’ha reso più fragile degli altri di fronte a fallimenti e ingiustizie.

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D. Un altro aspetto che emerge nel testo è la profondità di Hauke. Sembra quasi abbia bisogno di vedersi calpestare per sentirsi vivo. Che cosa spinge, secondo te, qualcuno ad affidarsi a un altro e farsi trattare male pur di essere felice?
R. A scanso di equivoci, premetto che il modo di vivere il BDSM è diverso per ogni singola persona. Hauke, in particolare, vive la sottomissione in modo totale, senza sconti. Ha difficoltà nei rapporti sociali e ha scoperto negli anni che solo concedendosi totalmente a un altro riesce a creare quel legame intimo che gli manca nella vita di tutti i giorni. Lui si incolpa e si sente inferiore, e allo stesso modo ha bisogno di vivere la sessualità. In generale, penso che la sottomissione e il dolore piacciano tanto perché si tratta di lasciare il comando a un altro, di affidarsi completamente a lui. Difficilmente, in altri contesti, ci sono concessioni di potere e di fiducia così totali. La sottomissione è un fatto mentale, istintivo, un’esasperazione dei ruoli, che accende in noi qualcosa di primordiale. E col tempo queste pratiche diventano un po’ come una droga. Una volta che si inizia a sperimentare, è difficile farne a meno.

D. La scrittura è tornata quella che ho apprezzato nel tuo primo romanzo e gli elementi del romance sono scomparsi del tutto. Si tratta di un passo indietro o della necessità di riconoscerti in quello che hai scritto?
R. Avevo il bisogno di essere totalmente sincero. In questo libro, più che mai, ho voluto scrivere come piace a me, in modo reale e schietto, senza abbellimenti. Non mi sono censurato nemmeno una volta e non mi sono piegato ad alcun cliché, pur col rischio di non piacere. Ho scritto un po’ partendo dal profondo, non dal di fuori, da schemi e da regole imposte dall’alto. Credo che i lettori lo abbiano capito.

D. Per concludere, mi dici a chi consiglieresti la lettura del tuo romanzo e chi, secondo te, saprebbe apprezzarlo nella sua interezza?
R. Consiglio il mio libro a chi apprezza i romanzi psicologi, introspettivi e il BDSM, ma anche a chi è estraneo a questo mondo, perché il fulcro della storia è un altro: la vita e la storia d’amore complicate di un essere umano imperfetto come tutti. In un modo o nell’altro, penso che tutti, in un momento della vita, abbiano provato ciò che prova Hauke.


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