INTERVISTA: «Essere gay non deve essere un dramma» Giacomo Assennato parla del suo ultimo romanzo

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Intervista di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Ieri vi abbiamo parlato del suo romanzo Le cose accadono, oggi, invece, lasciamo che a parlarne sia il suo autore, Giacomo Assennato. Nell'intervista che segue avrete modo di scoprire qualcosa in più su questa storia d'amore, capace di entrare nel cuore del lettore per la sua semplicità normalità.
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D. Le cose accadono, il tuo romanzo, non è altro che il racconto della nascita di un amore. Come ti è venuta l’idea?
R. In genere l’omosessualità nei romanzi è associata a grandi drammi e conflitti interiori. Ho letto cose meravigliose (per citare alcuni italiani, i libri di Mirko Lamonaca, il meraviglioso “Il figlio prediletto” di Angela Nanetti e il devastante, ma stupefacente “Le ferite originali” di Eleonora C Caruso), pagine toccanti ma, comunque, sempre dolorose. Avrei voluto anche leggere, qualche volta, di due ragazzi di oggi, di qualcuno che viva in fondo serenamente la propria personalità, sentendosi normale (brutta parola) nonostante quel qualcosa di amaro e indefinibile che sempre gli galleggia dentro. Non trovandoli in nessun libro, me li sono raccontati da solo.

D. Nel romanzo affronti la tematica narrando i diversi stati d’animo del protagonista, che improvvisamente vede sconvolgere il suo mondo dall’arrivo di un nuovo amore che neppure sperava di trovare. Per descriverlo hai attinto a qualcosa di personale?
R. Per molti versi, io sono Gianni: sono mie le sue ansie, il panico di essere inadeguato prima di una cena o di una riunione, la sua convinzione che, sotto agli occhi di tutti, gli avverrà qualcosa di mortificante: suderà, inciamperà o morirà, persino. E, come succede a lui, anche a me capita poi di essere, invece, trainante, fare lo show e, con mia meraviglia, diventare protagonista della serata. Questo per ciò che riguarda il carattere di Gianni. In quanto alla vicenda, qualcosa di personale c’è: io vivo come lui prima dell’incontro; la vita che fa gli basta: il cuore non gli batte mai più di tanto ma lui è “sereno”: io ho avuto il privilegio di vivere una storia straordinaria, fatta di parità assoluta e complicità totale. Ora sono solo e, come Gianni, non mi aspetto niente, ma se qualcosa dovesse conquistarmi vorrei provare anch’io quel suo stordimento e lo stupore che dà senso alla vita, non solo avere compagnia.

D. Oltre al batticuore, nella storia sono descritte anche le paure e le ansie che un nuovo amore comporta. Ti è stato più facile raccontare quest’ultime o le farfalle nello stomaco?
R. Sicuramente le farfalle nello stomaco: chi non le ha mai provate? E chi non ne ha nostalgia? Credo che la farfalla in assoluto, nel romanzo, sia il ricordo del ricciolo del compagno di classe seduto nel banco più avanti, con Gianni ragazzino che passava le ore a pensare a quanto sarebbe stato dolce giocarci con le dita. Sono i momenti in cui ti innamori, ed è lì che le farfalle, impazzite, arrivano a centinaia.
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D. I due protagonisti sono molto diversi fra loro ma allo stesso tempo più simili di quanto essi stessi credono. Con questo vuoi dirci che in amore cerchiamo chi ci assomiglia?
R. Penso che chi vive in una coppia abbia proprio il dovere di arrivare a somigliarsi, altrimenti stiamo parlando di due persone che vivono insieme, non di due che, insieme, formano “l’uno”. E questa somiglianza porta al top; nel romanzo ci sono due momenti in cui questa sensazione è evidente; subito, quando Francesco dice: “Non voglio altro, anzi, io vorrei essere te” e, molto più tardi, nelle parole di Gianni: “Ora io sono lui e lui è me. Quello che di bello ho raccolto da solo, prima, è diventato suo e ciò che Francesco non ha avuto manca fortemente anche a me”.

D. Francesco, sarà per il nome, è un personaggio che ho amato molto; sebbene apparentemente sia un ragazzo sicuro di sé, nasconde paure e scheletri nell’armadio che lo turbano e con cui continua a fare i conti. L’amore serve anche a risolvere ciò che ci affligge?
R. Assolutamente sì, se si ha la fortuna di avere accanto una persona come Gianni, che sa aspettare; lui gli ha messo il suo mondo in mano e quindi potrebbe sentirsi un po’ offeso dalla chiusura di Francesco su ciò che lo opprime. È tale il bene che prova che, invece, si preoccupa per lui, sapendolo ferito dentro, si chiede dove sia il proprio errore se l’altro non si scioglie, e, vedendolo così confuso, dimentica di essere un po’ risentito e prova pena per lui. Questo è amore.

D. La scrittura è diretta, essenziale e molto ironica. Il tuo è un modo per raccontare l’amore fra gay senza appesantirlo della drammaticità che le opere a tematica omosessuale contengono?
R. Volevo scrivere una storia vera, possibile e “italiana”, senza il solito Warren, veterano dell’Afghanistan, che diventa boscaiolo nel Montana e s’innamora del rude sceriffo vedovo Jeffrey, che è etero finché non scopre le sue farfalle nello stomaco... Niente di male in quei romanzi: fanno sognare, ma non appartengono alla nostra realtà. La drammaticità nel mio libro c’è, ma è un’esperienza precedente. I due vivono una storia anche divertente, appunto, sono ironici. Perché appesantirli in una trama dolorosa? Essere gay non deve essere un dramma. Il vero tema della storia è la vita normale che riescono a conquistare e che ogni coppia gay ha il diritto di vivere.


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