«Le storie non arrivano per caso, approfittano del momento giusto» Vincenzo Restivo parla del suo nuovo romanzo. INTERVISTA

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Le foto presenti in questa intervista sono una gentile concessione di Cristian Restivo.
Sabato scorso vi ho parlato del suo nuovo romanzo, ‘La santa piccola’, pubblicato con Milena edizioni,  un lavoro che mostra quel cambiamento nella sua scrittura iniziato già con il suo quarto romanzo ‘La storia di Lou’.  Vincenzo Restivo oggi, invece, risponde alle mie domande in un'intervista che traccia sia un'analisi del romanzo, ma che affronta anche tematiche sociali e non.
Continua sotto...

D. ‘La Santa Piccola’ racconta una realtà campana fatta di credenze popolari, arte dell’arrangiarsi e la ricerca di un futuro migliore rispetto a un presente misero. Su questo sfondo si muovono i tre protagonisti Mario, Lino e Assia, ognuno con la propria storia e ognuno con le  proprie aspettative. Ci racconti come ti è venuta alla mente la storia?
R. Ho sentito l’esigenza di trattare di realtà che sentivo mie, di parlare di Napoli, per esempio, una città che per tutti gli anni dei miei studi universitari, mi ha accolto con i suoi colori, i vicoli sghembi, le voci stridule, l’eco delle musiche neomelodiche. In questo quotidiano ho inserito i tre ragazzi protagonisti. Ho dato loro dei nomi, delle storie, e queste storie si sono inevitabilmente intrecciate ai fatti di cronaca. Non ho fatto sforzi particolari, la storia era lì, a portata di mano, era la realtà che già vivevo.

D. Non credo di sbagliare nel dire che questo romanzo segna una rottura col passato o, se preferisci, una tua crescita stilistica, iniziata già con ‘La storia di Lou’. Voglia di sperimentare nuovi stili o semplice evoluzione dettata dalla maturità?
R. La crescita c’è e la sento anche io. Sento di avere più confidenza con certi tipi di testualità. Tuttavia sono certo che le storie non arrivano per caso, approfittano del momento giusto.  'La Santa piccola’ è arrivata in un momento in cui ho maturato certi tipi di consapevolezze come anche quegli strumenti che mi hanno permesso di addentrarmi in una spazialità più tangibile,  ben delineata, che si dissocia del tutto da quella astratta dei romanzi precedenti. 

D. Anche questa volta affronti il tema dell’omosessualità, ma lo fai raccontando come ancora oggi sia difficile per un giovane accettarla, soprattutto in quelle zone delle grandi metropoli in cui mostrarsi maschio alfa è necessario per non essere affossato dagli altri.  Secondo te gli scrittori, gli autori ma anche gli attivisti LGBT come possono arrivare a smantellare certe paure e arrivare anche in quei quartieri definiti difficili?
R. Dove la letteratura non può arrivare,  molto può la scuola. L’istruzione è, assieme alla famiglia, l’istituzione che ha più presa sulla  formazione del ragazzo e sulla sua sensibilizzazione verso determinate tematiche. Le associazioni LGBT come la mia (RAIN, ndb), in questi ultimi anni si sono attivate per trattare argomenti come l’ omofobia, bullismo omofobo e malattie sessualmente trasmissibili nelle scuole di tutt’Italia. Per questo credo che le nuove generazioni abbiano, senza ombra di dubbio, informazioni più accurate a riguardo. Ma la strada alla comprensione è ancora molto lunga. 

D. Il romanzo si apre con un passaggio di ‘Acqua storta’ di Luigi Romolo Carrino. Cosa ha significato quel romanzo per te e, in generale, la letteratura di Luigi? 
R. Carrino mi ha aperto un mondo. La sua narrativa è un nulla osta alla libertà linguistica. È l’arte che libera la lingua dalle gabbie che si impone. Così anche io ho voluto liberarmi e ho scritto con tutte le difficoltà della coesione e della coerenza discorsiva, di una storia che deve rispettare un registro basso e certe argomentazioni. Ho scritto con accettabilità e intenzionalità: l'intenzione di essere quello che non sono e l'accettazione di scrivere in un registro che non mi appartiene. Era doveroso parlare di Napoli come doveroso è stato citare Luigi Romolo Carrino ad apertura. In ‘Acqua Storta’, come nel mio ‘La Santa Piccola’ il linguaggio è carnale, inevitabilmente familiare, rozzo e blasfemo. Carrino dal canto suo, non ha paura di osare. C’è tanto sesso, brutale, selvaggio, e il dialetto dà una voluta e indispensabile crudeltà, che sfiora il sadismo ma diventa subito passione.  Carrino scrive “pesce” e non “cazzo” perché a Napoli si dice così, scrive “sputazza” e non “saliva”, perché l’idea è resa meglio. Perché certe espressioni, tradotte, perderebbero il loro senso pragmatico o ne acquisterebbero un altro. È questo  l’esempio palese di come la lingua col tutto il suo carico di significanti e significati, determina la riuscita di un testo narrativo. Ho voluto, a mia volta, cominciare quest’avventura che ho sempre pensato fosse più grande delle mie effettive potenzialità. Tuttavia, l’intrinseca lessicografia partenoea è  parte integrante della mia storia. Per quanto non abbia una propensione al linguaggio regionalistico, i valori campani- compreso l’inconscio bagaglio linguistico a loro apportato- mi sono stati inculcati sin da bambino. Nonostante le soggettive scelte di interazione sociale, oggi mi ritrovo a fare i conti con un dualismo culturale inevitabile: l’essere italiano prima e campano poi.
Continua sotto...

D. Credo che ‘La Santa Piccola’ abbia tutte le carte in regola per essere trasformato in un’opera teatrale o addirittura in un film d’autore, che ti coinvolgono a tal punto da lasciarti l’amaro in bocca per un finale aperto a mille interpretazioni possibili. Ci hai mai pensato a una simile opzione? 
R. Ti direi una bugia se negassi. Certo, c’ho pensato e ‘La Santa piccola’ è un testo che si presta benissimo a un adattamento di questo tipo.  Ogni capitolo è una confessione diretta. È come se ogni personaggio parlasse davanti a una camera o a una platea di spettatori. E c’è un misticismo intrinseco che lega i personaggi stessi con i destinatari (che siano lettori o spettatori importa poco). 
È la malleabilità della narrativa. 

D. Per concludere, ci dici cosa significa per te questo romanzo? Di sicuro segna l’inizio della collaborazione con la Milena Edizioni e, come abbiamo detto prima, una evoluzione della tua scrittura. E poi? 
R. Segna anche l’inizio di una nuova avventura. ‘La Santa Piccola’ è un approccio nuovo sotto molti punti di vista. Come dicevo in precedenza, uno dei tanti è la lingua. Ho più consapevolezza ora come non mai, di come la lingua può davvero portarti lontano. E arrivare lì dove non credevi possibile. 
RIMANI SEMPRE AGGIORNATO. ISCRIVITI ALLA NUOVA PAGINA FACEBOOK