Cocaina
basata, mephedrone, crystal e GHB sono solo alcuni dei protagonisti di festini,
che sempre più spesso vengono organizzati per sballarsi e fare sesso a lungo e
senza limitazioni. È il fenomeno del chemsex, nato e sviluppatosi soprattutto a
Londra, ma che sta prendendo sempre più piede anche in Italia. Neologismo
coniato da David Stuart, il chemsex connota non solamente l’uso e abuso di
sostanze psicoattive al fine di migliorare, prolungare e stimolare l’attività
sessuale, ma identifica propriamente l’uso che se ne fa nelle comunità gay
omosessuali.
Negli
ultimi anni, soprattutto in Europa ma con casi anche negli Stati Uniti, il
chemsex ha preso sempre più piede delineando un preciso rituale: App come
Grindr o incontri casuali con chi già è addentro a queste situazioni facilitano
l’individuo alla partecipazione a festini, i chill, il cui ingresso è
rigorosamente sottoposto al pagamento di un feed per l’acquisto delle sostanze
stupefacenti utili all’evento. Una volta pagato il proprio contributo, si può
accedere a questi chill con un numero variabile di partecipanti (dalle 3 alle
20 persone), durante i quali la musica di sottofondo e i video porno passati in
loop fanno da cornice a incontri omosessuali la cui durata può protrarsi anche
per più giorni, a seconda della disponibilità delle sostanze stupefacenti
precedentemente acquistate con le quote a disposizione. Direttamente derivanti
da questa pratica, sono altre, anch’esse insidiose, situazioni: dallo sviluppo
di una forte dipendenza da sostanze tossiche a quello di IST – Infezioni
Sessualmente Trasmissibili.
A
caratterizzare il chemsex, infatti, è l’uso di sostanze insidiose come il GHB,
meglio nota come “la droga dello stupro” (quindi sedativa ma che al contempo
aumenta la sensibilità tattile), unitamente ai cristalli di metanfetamina
(dall’intenso effetto stimolante) o al mefedrone (anch’esso stimolante ed
eccitante), che portano spesso al cosiddetto “craving”, ossia al desiderio e
necessità di un consumo sempre maggiore di sostanze stupefacenti. Per quanto
riguarda invece le infezioni sessualmente trasmissibili, questi incontri, senza
freni inibitori, portano spesso al non uso di preservativi, con conseguente
loro maggiore diffusione.
Un
mondo sconosciuto ai più, che ci viene raccontato, forse per la prima volta
nella narrativa di “intrattenimento”, da Andrea Mauri e Angela Infante, attraverso 10 racconti brevi, nati da testimonianze vere, raccolte tramite interviste a ragazzi che lo praticano.
“Ragazzi chimici – connessioni di chemsex”,
pubblicato da Ensemble edizioni, con la postfazione a opera del sessuologo e
docente universitario Filippo Maria
Nimbi, risulta essere, pertanto, un documento importante sia per conoscere l’argomento sia per fermarlo
e limitarne i danni.
L’intervista
D. "Ragazzi chimici" è un’antologia basata sul chemsex,
che si ispira a storie vere, che avete ascoltato e raccolto attraverso delle
interviste. Prima di entrare all’interno del loro contenuto,voglio chiedervi
qual è stata la molla che vi ha fatto interessare all’argomento.
MAURI: L’idea
è stata di Angela. Mi ha proposto di scrivere questo libro e ho subito
accettato. È stata l’occasione per approfondire le dinamiche di un fenomeno di
cui avevo sentito parlare e che mi incuriosiva.
INFANTE: Lavoro da più di 10 anni in un
reparto di Malattie Infettive con persone sieropositive e ascolto le loro
storie. Un paio di anni fa, alcuni di
loro hanno manifestato l’interesse a parlarmi e confrontarsi su questo fenomeno,
qualcuno perché ne aveva sentito parlare, qualcuno perché aveva partecipato ad
alcune sessioni.
Durante il primo lockdown, complice la chiusura
forzata, ho iniziato a domandare di poter fare delle “chiacchierate”
sull’argomento; è stato tutto molto fluido, senza riserve e con onestà, con interesse
e senza giudizio, nasce così l’idea.
D. Dicevamo che i racconti contenuti all’interno
del libro sono ispirati alle testimoniane raccolte attraverso delle interviste.
Come siete arrivati a questi testimoni?
MAURI: Su
questo ti risponde Angela, perché è lei che ha realizzato le interviste. Io ho
ricevuto il materiale, che ho sbobinato appuntandomi gli aspetti più forti, in
un certo senso quelli più narrativi, per trasformarli in storie. Il mio lavoro
è stato quello di rispettare l’anonimato che gli intervistati ci hanno chiesto,
renderli irriconoscibili nei racconti senza tradirne però le emozioni e i
sentimenti, cioè la psicologia dei protagonisti, introducendo dei necessari
elementi narrativi.
INFANTE: Ho chiesto ad un amico grafico di preparami una
locandina, dove lasciando il mio indirizzo mail, chiedevo di essere contatta, da
persone che erano coinvolte a vario titolo nel fenomeno del chemsex;
anche con una mail fittizia, una chiacchierata per conoscerci. Quindi, ho
postato la locandina sui miei profili social; ha incuriosito molti uomini e poi
è stato semplice. Ho anche molti amici gay all’interno della mia comunità e il “passaparola
gay”, (mi ricorda il film di Ryan Murphy The normal heart), ha fatto il resto.
Sicuramente mi ha aiutato il fatto che io lavori in campo HIV.
D. Cosa vi ha colpito maggiormente dei loro
racconti?
MAURI: Mi
sono trovato davanti a uno scenario che non immaginavo. Le motivazioni dei
ragazzi chimici sono molteplici. A riprova del fatto che nella vita nulla è
solo bianco, nulla è solo nero e che il chemsex è un fenomeno
trasversale. Nei racconti ho sentito tanta solitudine e pure un’ansia da
prestazione. Tra le righe emerge uno sminuimento del corpo e una difficoltà a
percepirsi in armonia con il mondo, sia sul piano fisico che su quello
psicologico. Ma c’è anche chi fa chemsex per puro svago, per migliorare la prestazione sessuale. Questi sono
gli aspetti di un fenomeno che tutti dovrebbero conoscere per smontare qualsiasi
sorta di pregiudizio in merito.
INFANTE: Quello che mi colpisce in ogni storia che ascolto
con genuino interesse. Mi ha colpito la fiducia nel narrarsi, la consapevolezza
di quello che stavano facendo nelle mille tonalità di grigio in cui tutti viviamo,
la capacità di analizzarsi nei comportamenti: riconoscere la dipendenza o solo lavoglia
di divertirsi e il tentativo, a volte ironico, a volte lancinante di non
prendersi, sempre, troppo sul serio. Tutti consapevoli nel riconoscere che
sarebbe arrivato “un loro tempo” per smettere.
D. E quale è stata, invece, la storia che più vi
ha scosso e perché?
MAURI: Per
me è stata quella del racconto intitolato “Orgasmo livido”. In questa storia il
chemsex parte all’interno di una coppia con delle modalità
forti: innanzitutto una grande differenza d’età tra i due protagonisti e poi
con atti consensuali che si avvicinano a una certa violenza, ma sempre nel
reciproco rispetto e accordo. In un secondo momento l’esperienza si allarga ad
altre persone con esiti disastrosi.
INFANTE: Non credo ce ne sia una particolare, quando si ascolta
senza giudizio, le parole scorrono con un loro senso, e fanno meno male. Quella
in cui ho dovuto più contrastare la sensazione frustrante di totale impotenza,
è stata “Anonimo Veneziano”; a questa storia, dallo svolgimento singolare,
perché fatta di persona, non ero pronta. Nella lettura se ne può intravedere
“trasparente” il perché.
D. Perché il chemsex sta prendendo sempre più
piede nella società e perché fra le persone, giovani e meno giovani, si sta
affermando l’idea che per un amplesso ci sia il bisogno di assumere sostanze
stupefacenti?
MAURI: Da
un lato mi sembra di percepire una certa curiosità nell’esplorazione del sesso
attraverso nuove modalità. Dall’altro gioca un ruolo fondamentale la percezione
che si ha del proprio corpo. Come dicevo prima, si sta diffondendo un’ansia di
prestazione, un’inadeguatezza di fronte a modelli di corpi perfetti e di atti
sessuali vigorosi, al limite del bestiale in qualche caso, veicolati dai video
porno. Assistiamo a un bombardamento sostanzioso di questi messaggi, che possono
generare l’ansia di inseguire qualcosa di irraggiungibile perché non ci
appartiene.
INFANTE: Possiamo analizzare e indagare tutti i comportamenti
legati a pratiche più o meno trasgressive, lecite, opportune e con gli
aggettivi potrei andare avanti per lunghe righe ma penso che la risposta
“giusta”, ammessa che ce ne sia una, è da “ricercare” nella richiesta, non
giudicante, alle persone interessate. Io faccio in questo modo.
D. Chi fa sesso sotto effetto di metamfetamine è
consapevole delle conseguenze che potrebbero generarsi?
MAURI: I
ragazzi chimici raccontano in che modo hanno affrontato il cosiddetto down da
assunzione di droghe, cioè il momento in cui le sostanze cessano il loro
effetto e li sprofondano in una grande incertezza. Sono consapevoli del rischio
di isolarsi per giorni interi, di vivere in una dimensione parallela, di
rinunciare alle relazioni interpersonali, di sviluppare problemi di
concentrazione sul lavoro e nel peggiore dei casi di arrivare persino a
perderlo. E affrontano tale consapevolezza in modo differente. Per esempio,
alcuni sviluppano una mania di tenere tutto sotto controllo per scandire con
regolarità la partecipazione ai chill; altri faticano a imporsi
il controllo sul desiderio e la necessità di un consumo sempre maggiore di
sostanze stupefacenti; altri ancora si preoccupano meno del futuro. Comunque
sia, per me è fondamentale che si lavori sulla riduzione del danno per avere le
risposte giuste a chi chiede aiuto.
INFANTE: La consapevolezza non è ospite benvenuto in queste
sessioni; dalle esperienze raccontate e vissute in momenti come questi, lunghi
momenti che diventano giorni, la mente è affollata da pensieri e da fantasie
che abitano gli stati di incoscienza. La consapevolezza abita la vita di ognuno
di noi, prima o dopo la sessione di chemsex, in quell’attimo, credo,
non vale il “cogito ergo sum”.
D. Nel libro si fondono le vostre competenze,
Angela sei una counselor e una educatrice mentre, lo sappiamo benissimo, Andrea
sei uno scrittore di talento. Come nasce la vostra collaborazione?
MAURI: Frequentavo
le associazioni glbtqi+ e gli eventi che organizzavano. Mi piacevano molto
quelli ideati da Angela. Gli ultimi suoi cui ho partecipato sono stati una
serata di teatro counseling e una sfilata di moda in occasione della giornata
mondiale della lotta contro l’Aids. Non ricordo però qual è stata la prima
occasione, quella in cui ci siamo conosciuti.
INFANTE: Conosco bene il mio lavoro: ascolto storie,
raccolgo storie e, a volte, mi diletto a scriverle. La nostra collaborazione
nasce dalla voglia di fare “qualcosa” insieme per la nostra comunità, con
onestà, non raccontando solo “i colori che colorano” il nostro orgoglio, ma
anche quelli “acidi” che lo rappresentano. Quello con Andrea è stato un
incontro magico, ma è stato un bellissimo incontro anche quello con l’editore
che ha creduto in noi,Matteo Chiavarone di Ensemble, e quello di tutte le
persone che “girano” intorno a questo progetto; progetto che poteva anche
risultare “scomodo”.
D. Su quale aspetto vi siete confrontati
maggiormente e cosa avete imparato l’uno dall’altro durante la lavorazione?
MAURI: L’aspetto
fondamentale è stato quello di rispettare le storie che questi ragazzi hanno
deciso di regalarci. Non era scontato che aderissero all’appello di uscire allo
scoperto e raccontare aspetti profondi, intimi e delicati della loro vita. Il
rispetto che doveva passare necessariamente, come ho detto prima, attraverso
l’attenzione con la quale costruire i racconti che fanno parte del libro. Che
cosa ho imparato da Angela? La schiettezza di porsi al prossimo, la risolutezza
con la quale porta a termine gli obiettivi e la semplicità con la quale
gestisce la sua energia inesauribile che tutto e tutti travolge.
INFANTE: Il confronto è il sale della vita, e io
notoriamente mangio con l’aggiunta di molto sale. Non potevo perdere
l’occasione ghiotta di lavorare con Andrea. Amo il suo stile di scrittura
asciutto e onesto, la gentilezza e l’eleganza con cui entra nelle vite degli
altri e un genuino interesse per i fatti della vita.
Cosa ho imparato? Ad avere una sorta di pazienza,
dote che non mi caratterizza!
D. Per concludere, Ragazzi chimici quale elemento di riflessioni speriate lasci nel lettore?
MAURI: Mi
piacerebbe che il lettore venisse toccato da queste storie fino a sentirle
proprie, magari arrivando persino a immedesimarvisi. Secondo me, tutte le
esperienze, anche le più estreme, raccontano qualcosa di noi. Inconsapevolmente
fanno emergere i nostri lati oscuri, quelli che preferiamo non vedere. Ebbene,
se questo libro ci autorizzasse a scavare nel nostro io più buio fino a destabilizzarci,
allora sarebbe un ottimo risultato. Del chemsex se ne deve parlare.
Credo che in futuro arriveranno nuovi studi scientifici sul fenomeno, che si
cercherà di misurarne la portata e che, come succede già in altri Paesi, si
appronteranno dei servizi adeguati alla prevenzione e alla riduzione del danno.
Nel frattempo però è bene parlarne in ogni luogo.
INFANTE: Sarò lapidaria, ognuno confezionerà le sue;
io voglio solo che se ne parli!