INTERVISTA ESCLUSIVA a Edoardo B., autore di ‘Nel nome del padre’: «Ti rendi conto che le persone LGBTQ sono accettate solo a parole»

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
‘Nel nome del padre’ è il caso letterario delle ultime due settimane. In prima posizione su Amazon per più di una settimana e ancora al quarto posto nella classifica erotica, ha fatto discutere, indignare e scandalizzare. Oggi ne parliamo con il suo autore Edoardo B. in un’intervista dove niente è lasciato al caso, neppure la spinosa e spiacevole questione delle feroci e incomprensibili critiche piovutegli addosso, e di cui vi accennavo nella recensione di ieri proprio qui su Il mondo espanso dei romanzi gay.
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D. Edoardo, ‘Nel nome del padre’ è un romanzo che affronta diversi temi spinosi. Come è nata la storia nella tua testa?
R. È successo tutto in modo immediato. Una sera di tre anni fa mi venne la voglia di provare a cimentarmi con un genere che non avevo mai affrontato prima, ovvero l’erotico, e mi misi a pensare che cosa mi sarebbe piaciuto leggere. Dopo un po’ s’insinuò quest’immagine sacra e profana di un prete gay che sta celebrando la messa e a un tratto si rende conto di essere fissato da un ragazzo. Mi sembrava un’idea blasfema e affascinante al punto giusto, così iniziai a sviluppare il personaggio del prete. Chi è? Come mai fa quel lavoro? Come vive quella situazione che per lui dovrebbe essere di peccato? La trama non si è sviluppata nella mia testa, è esplosa.

D. Che rapporto hai con la religione?
R.Sono nato in una famiglia cattolica, come tanti. Ho fatto, però, studi scientifici, ho preso una laurea in Psicologia e sono diventato agnostico. A volte mi dico che non siamo altro che il nostro cervello, e che se quello va a farsi fottere per via di un trauma cerebrale o di una demenza, siamo fottuti pure noi. C’è posto per l’anima? Non lo so.

D. E  con la chiesa, invece?
R. A quel che professa la chiesa credo poco, ma non ce l’ho a morte con i preti, ce ne sono di illuminati e moderni. Quando ero un ragazzino c’era un prete che come persona mi piaceva molto, era colto e serio, faceva delle prediche così belle che quasi mi commuovevano. Poi si è trasferito in un’altra parrocchia e mi sono allontanato dalla chiesa.
Le chiese, però, mi hanno sempre affascinato, con le loro statue e i loro altari. E il loro silenzio. Guardandola dall’esterno, la messa cattolica è veramente un rituale ben sviluppato e scenografico.
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D. Da come hai descritto i rituali ecclesiastici, sembra che tu li conosca bene. È così o è soltanto il frutto di un’accurata ricerca pre-scrittura?
R.Quando scrivo un libro, mi documento molto, sia prima sia durante la stesura, in modo anche eccessivo. Se la parte ecclesiastica della storia regge, è perché c’è stato tanto lavoro alle spalle. Sono andato a leggermi articoli di cronaca e gossip, forum cattolici -esistono davvero!-, ho guardato video su Youtube di tutti i tipi. È stato molto interessante e c’era così tanto materiale da cui attingere a piene mani! C’è ben poco nel mio romanzo che non sia successo nella realtà. Ne ho lette di tutti i colori.

D. Deduco, quindi, che non hai mai fatto il chierichetto?
R. No, però, ora come ora, forse un po’ mi dispiace. (sorride, ndb)

D. Nel romanzo sei abbastanza neutrale, non prendi  né una posizione favorevole né una contraria. Ti limiti a raccontare la storia e a sviscerarne ogni aspetto attraverso i personaggi. Hai voluto mettere a confronto i diversi punti di vista, perché?
R.Non mi piacciono gli scrittori che si intromettono col narratore onnisciente durante la storia per farti la morale. Me li vedo quasi, di fronte alla lavagna a farci la lezione. Io, invece, entro nella testa dei personaggi e lascio la parola a loro. Il gusto dello scrivere sta tutto lì, nel fingere di essere qualcun altro che non ha il tuo passato,le tue idee, le tue convinzioni o il tuo carattere. Non è stato per niente facile, perché in buona parte erano personaggi molto diversi da me. Soprattutto, ho voluto correre il rischio di sentirmi dire che trasmetto messaggi sbagliati, blasfemi o chissà che. Tanti scrittori a un certo punto si parano il culo ed escono con la morale, come per dire: “Ehi, calmi tutti, io non la penso così”.Se avessi avuto voglia di esprimere il mio parere, mi sarei dato alla saggistica, non alla narrativa. Gran parte del romanzo è filtrato dagli occhi di Mauro, ma ci sono altri personaggi, come Luca, che almeno coi loro dialoghi e atteggiamenti mostrano di pensarla in modo diametralmente opposto a lui. È anche questa una cosa che mi piace, perché senza tensione non c’è interesse e non c’è trama, e si finisce a scrivere un piattume. Sta al lettore farsi un’opinione dei vari personaggi. E non sono stato per niente gentile con loro, ognuno ha i suoi pregi ma soprattutto i suoi difetti, a volte ingranditi con la lente.
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D. Il veneto fa da sfondo alla storia di Mauro e Luca. Com’è scoprirsi, crescere e vivere da gay da quelle parti?
R.Credo come dovunque. Ora come ora, da fuori sembra esserci una certa accettazione delle persone che fanno parte del “mondo LGBTQ”. Viverla sulla propria pelle non è la stessa cosa, ti rendi conto che le persone ci hanno accettato a parole, basta non essere troppo imparentati o intimi con loro. C’è stato un periodo della mia vita in cui volevo farmi sentire, quasi gridare, ma è passato. È che mi sono stufato di dover spiattellare tutta la mia vita agli sconosciuti. Le persone sono un po’ morbose, dai una mano e vogliono prendersi il braccio. E io, di mio, sono un tipo solitario, che ama starsene per conto suo, solare ma estremamente riservato di natura. Mi apro davvero con pochissime persone, non sono uno da compagnie allargate. Sono un po’ criptico, l’hanno detto pure alcuni ex. Ho una parte “gaia” piuttosto sviluppata, però allo stesso tempo sono un po’ vecchio stile, abbraccio gli altri o esprimo a parole il mio affetto col contagocce.

D. Veniamo a un aspetto sgradevole, ossia quello delle critiche (possiamo chiamarle così?) che ti sono piovute addosso  da parte di chi non ha visto di buon occhio la scelta di dare a uno dei protagonisti sedici anni. Ti aspettavi queste reazioni?
R.Ho affrontato tanti di quegli argomenti spinosi nel romanzo, tra cui alcolismo, omosessualità nella Chiesa, prostituzione e sadomaso, che davvero l’età di Luca pensavo fosse l’ultimo dei miei problemi. Dopotutto, è un ragazzo quasi di diciassette anni, che si avvia a iniziare la quarta superiore, con una vita travagliata, costretto suo malgrado a crescere.

D. Di quello che ti è stato detto cosa ti ha colpito maggiormente e perché?
R.Mi ha dato fastidio leggere pareri moralisti spiattellati con abbastanza foga, tanto da far quasi scappare altri potenziali lettori. Quando leggo un libro, io, non mi metto a dare giudizi morali sui contenuti, ma penso alla trama, alla caratterizzazione dei personaggi, allo stile. Se ci mettiamo a fare la morale, tanto vale bruciare il 90% dei libri in commercio. Paradossalmente, a me i libri che piacciono di più sono quelli scomodi. Faccio solo un nome: Herman Koch, crea dei protagonisti davvero stronzi e scorretti che ti fanno imbestialire, e quanto è bravo a farlo! Insomma, sentirmi fare la morale mi rattrista, preferirei una critica costruttiva che mi permetta di capire quali sono i miei punti deboli e migliorarmi. A esempio, nel forum che frequento di più e di cui sono mod mi è stato detto più volte che sono lento a ingranare la storia, e così ora presto tantissima attenzione all’incipit. Spero di essere migliorato.
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D. Queste critiche si sono soffermate soltanto sull’età, ma non sul resto dei punti delicati che hai affrontato. Come te lo spieghi questo?
R.C’è da notare che queste critiche mi sono state rivolte più che altro da persone che hanno letto pochi capitoli o solamente la trama, il che è assurdo. Se uno è tanto sensibile su un certo argomento, dovrebbe starne alla larga e basta. In ogni caso, leggendo il romanzo si dovrebbe capire che Luca non ha sedici anni per mera provocazione, ma perché serviva un personaggio da una parte con la leggerezza e la freschezza caratteristica dell’adolescenza e dall’altra con una vita difficile e sofferente. Volevo in lui ci fosse una crepa, una crepa che aveva bisogno di essere aggiustata da qualcuno.Tra l’altro, la mia storia sentimentale più importante è iniziata quando avevo vent’anni e il mio partner aveva il doppio della mia età. Non ci trovavo niente di male. Avere un uomo molto più vecchio di me mi faceva sentireprotetto, perché avevo qualcuno con più esperienza di me, una sorta di guida. Mi faceva capire che non dovevo prendermela troppo per certe cose. Mi ha detto alcune cose sulla vita che a venti o a ventitré anni non capivo, ma a distanza di qualche anno sono state illuminanti. E probabilmente se ho scelto tutta questa differenza di età tra i protagonisti è inconsciamente perché in quel periodo ero innamorato di un quarantenne e riversavo quei sentimenti anche nelle mie storie. È naturale che succeda.

D. C’entra il fatto che Mauro fosse un “don” secondo te?
R.Quello di sicuro. Ormai si parla moltissimo dei crimini dei preti. Luca però ha quasi diciassette anni, e non ci vuole una laurea in Psicologia per capire che non è un individuo prepubere che può attirare un uomo malato. È minorenne, va bene, ma di poco e non sono il primo a scrivere una storia di amore e sesso che coinvolge un non ancora diciottenne con un uomo più vecchio. Senza scomodare grandi nomi, posso citare l’italianissimo Moccia. E quella è letteratura che viene data come pappa agli adolescenti, non un romanzo come il mio destinato a un pubblico di maggiorenni. Ma sì, il fatto che Mauro sia un prete influisce molto sul giudizio delle persone, sia dei cattolici sia degli anticlericali, per motivi diversi.

D. Cambiamo argomento, anche perché più di questo non credo tu possa dire. Ognuno tragga le proprie conclusione se vuole. 
Voglio farti una domanda che,  sono certo, in molti si fanno: il tuo è un romanzo erotico e il suo intento è quello di eccitare il lettore, ma in che “condizioni fisiche” versa uno scrittore mentre digita la storia sulla tastiera? (sorrido, ndb)
R.Devo rispondere sul serio? (ride, ndb)
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D. Ovviamente sì! (rido, ndb)
R.Beh, era il primo romanzo erotico che scrivevo e quindi diciamo che ero “vergine” al riguardo, per stare in tema (sorride, ndb). L’ho risolta pensando che per renderlo bello avrei dovuto un po’ attingere alle mie esperienze di vita e sviscerare anche le mie fantasie sessuali. Si nota una mia certa passione per l’abbigliamento ecclesiastico?

D. Direi proprio di sì. (sorrido, ndb)
R. Lo trovo davvero sexy (ride, ndb). Comunque, per aiutarmi nei particolari delle descrizioni pescavo dalla memoria - non nel senso che sono stato con un prete- e guardavo anche delle immagini e qualche video. Non posso dire di essermi annoiato, ecco.
Dovevo essere uno spettacolo simpatico mentre scrivevo,  perché ogni tanto, se non dimenticavo di dover scrivere,mi incantavo davanti allo schermo con gli occhi a palla e un sorrisetto deficiente.

D. Mi stai dicendo, quindi, che anche gli scrittori si eccitano, giusto? (sorrido, ndb)
R. In effetti, detto così, è abbastanza imbarazzante. (ride, ndb)

D. Per concludere, questo è il tuo primo romanzo in generale, però immagino avrai altri progetti in mente per il futuro. Dato che è presto per chiederti qualcosa in merito a nuovi lavori, volevo solo chiederti: sei interessato a continuare col genere erotico?
R. Io faccio una cosa sbagliatissima: inizio a scrivere un libro, dopo cento o duecento pagine mi blocco e inizio a scriverne un altro, e così via. Insomma, ne ho di roba che bolle in pentola, di diversi generi, e spero di riuscire a concludere qualcos’altro in tempi non biblici. Non sono uno scrittore di romanzi erotici, ma non credo che questo resterà un caso isolato. A dire il vero, è da un po’ che ho quest’idea di uno spin off di ‘Nel nome del Padre’che coinvolga diversi personaggi, alcuni già ben presenti nel libro, altri incontrati solamente in qualche capitolo, e altri del tutto nuovi. Mi piacerebbe provare a dare diverse visioni e sfaccettature di cosa voglia dire essere un prete gay, magari anche un po’ più ai piani alti…
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