Andrea Mauri: "Della società odierna mi spaventa la rimozione collettiva e l'oblio".

 

"Contagiati" è il titolo della raccolta di racconti brevi, l'ultimo lavoro letterario di Andrea Mauri, pubblicato da Ensamble Edizioni. Un'antologia che arriva dopo il successo dei romanzi "Mickeymouse03 (2016), L'ebreo venuto dalla nebbia (2017) e "Due secondi di troppo" (2018), in cui lo scrittore e redattore Rai, oltre a mostrare il suo talento con la scrittura, riesce ad accompagnare il lettore con accurattezza nel suo timore verso la malattia. "Contagiati", però, oltre a mostrare la sua bravuta, dimostra la calatura di Mauri. Chi ha il piacere di conoscerlo,  non può non riscontrare in lui quella sensibilità e quell'acume che riesce a trasferire nei suoi lavori. E mai come in questa antologia tutto ciò emerge. 


D.“Contagiati” è un’antologia che raccoglie dodici dei tuoi racconti brevi, scritti nel corso della tua vita. Cosa ti ha convinto a riunirli insieme?

R. Il primo racconto è nato con l’idea di sondare gli effetti di un virus non meglio identificato sulla vita e sulle relazioni degli esseri umani. Un esperimento pensato leggendo di varie epidemie sparse per il mondo. A un certo punto mi sono accorto che una sola storia non bastava a raccontare le molteplici sfaccettature legate al contagio e quindi ho scritto altri racconti sul tema. Quelli pubblicati sono una selezione perché l’argomento è vasto e le storie pure, ma non potevo pubblicare un volume troppo corposo con il rischio di dare forma a una sorta di trattato medico… sai che noia (ride, ndb) Nella selezione è stato di grande aiuto Paolo Restuccia, con il quale ho lavorato all’editing del libro.


D. Dal titolo si evince che il filo conduttore dell’antologia è la tua ossessione per la malattia e il disagio del vivere moderno, che nella scrittura trova l’unica terapia efficace contro le infezioni della vita. Cosa ti spaventa maggiormente di questa società odierna?

R. La rimozione collettiva e l’oblio. Secondo me siamo stati esposti al contagio di un buonismo eccessivo. Durante i mesi di confinamento non si faceva che ripetere che ne saremmo usciti cambiati, migliori, trasformati. Non è andata così. La reazione predominante è stata la rimozione di quello che ci è successo, spesso tornando a comportarci come se nulla fosse accaduto. Rimozione e oblio. Per carità, reazioni legittime a un periodo difficile, ma che noto si stiano allargando come macchia d’olio anche in altri settori della vita.



D. Com’è stato vivere per te il lockdown a cui il Coronavirus ci ha costretto?

R. Mi sono sentito congelato in una situazione assurda. Da un po’ di tempo in tv non passavano altro che immagini della città cinese di Wuhan deserta, privata della sua stessa essenza. Sembrava tutto così lontano e nel giro di poche settimane l’annullamento delle nostre città ha investito in pieno anche noi. Ero incredulo. Stava accadendo quello che avevo immaginato nei racconti prima che una grande epidemia, questa volta conosciuta, ci precipitasse addosso. Dopo il primo mese di blocco dei pensieri e delle emozioni, ho ripreso a prendere contatto con la nuova realtà, grazie al lavoro che non è mancato anche se da casa. Poco a poco mi sono riavvicinato agli altri, anche se virtualmente, e ho superato la diffidenza verso questo tipo di contatti. Gli amici dallo schermo del pc mi hanno tenuto compagnia in giornate complicate.


D. Cosa ti ha turbato maggiormente?

R. Il silenzio notturno. Vivo in una zona turistica di Roma, piena di locali. Affacciarmi dalla finestra e percepire il vuoto mi spaventava. Mi ha ricordato certe notti trascorse a passeggiare per borghi sperduti per le campagne. Solo che in quel caso era una scelta; il silenzio notturno della città è stata un’imposizione.


D. In “Contagiati” usi il fattore malattia per descrivere i diversi malesseri che ognuno di noi potrebbe vivere in prima persona. Quali sono i mali maggiori che opprimono l’Italia oggi, secondo te?

R. Mi preoccupa molto l’abdicazione diffusa al pensiero critico autonomo. Spesso facciamo nostre delle riflessioni altrui solo perché arrivano da imbonitori di folle contagiate da facile credulità. Nessuno si accorge di essere manipolato. O non vuole accorgersene. Preferisce autoalimentare la propria esaltazione. Ho provato a raccontare questo fenomeno in una delle storie contenute nel libro. Qui c’è la figura di una sopravvissuta che viene creduta una santona capace di rendere immortale l’uomo solo perché guarita dal virus. Una folla scatenata la circonda. Tutti credono al miracolo e nessuno si autorizza a dubitare.


D. Qual è stato il racconto più complicato emotivamente da scrivere?

R. Il racconto dal titolo “Pietà”, dove la malattia minaccia una storia d’amore. La coppia non si nasconde la sofferenza. Non fa finta che tutto andrà bene. Non si lascia attirare dalla menzogna facile. Vive il dolore raccontandoselo. In ogni dettaglio. Nella trasformazione dei corpi che si avvicinano al modello della Pietà di Michelangelo. Un dolore trascendentale, trasfigurato ed eppure concreto. Ogni separazione mi fa soffrire.


D. Se potessi inserire un nuovo racconto in questa antologia, basandoti sui fatti avvenuti in questo 2020, su quale avvenimento ti soffermeresti?

R. Non ho alcun dubbio. Il tema del negazionismo mi affascina molto e lo confesso, manca nella raccolta. A pensarci bene, la storia delle epidemie ha sempre avuto come contraltare quello del negazionismo. Parliamo di moltissimi secoli fa. Ora che ci spiegano tutto, ora che vediamo tutto, come si fa a negare il corteo di bare trasportate dai camion militari? Come si fa a negare l’esistenza del coronavirus dagli stessi familiari che hanno visto morire i propri cari a causa del virus? Che cosa si agita nella mente di un negazionista? E sono tutti davvero convinti?


D. Hai portato il libro in giro per il paese, entrando a contatto diretto con i lettori. Quale presentazione ti ha riservato emozioni inaspettate?

R. Due in realtà. L’ultima prima del lockdown e la prima dopo il confinamento. Come ti dicevo prima, nell’ultima presentazione di febbraio parlavamo di Wuhan senza sapere che a breve sarebbe toccato anche a noi. Mi ero emozionato ad ascoltare i richiami da una finestra all’altra di chi non voleva perdere un contatto umano anche se costretto a casa. Emozione di parlarne con chi aveva letto il libro o era intenzionato a farlo. La prima presentazione dopo il lockdown invece è stata virtuale. In quell’occasione ho ritrovato il contatto con il libro, con la mia stessa scrittura. Durante l’isolamento ho rinunciato ad alcune proposte di presentazione, perché non sapevo come raccontarlo, come descrivere le emozioni dei personaggi che paradossalmente erano le stesse che stavamo provando, ma troppo speculari per essere narrate con distacco. Ora che sappiamo quello che abbiamo vissuto e restando immersi in una strana precarietà, altre storie possono aiutarci a riflettere.


D. Proprio in questi giorni hai ripreso il tour negli stores. Dove si svolgerannoi prossimi appuntamenti con i lettori?

R. Non è tempo di programmazioni a lungo termine. A novembre dovrebbe svolgersi il Pisa Book Festival, non sappiamo ancora con quale modalità. Dovrebbe essere quello il prossimo appuntamento con i lettori. Staremo a vedere.