"Anche se per noi omosessuali sembra che le cose siano più difficili, è proprio questa difficoltà che deve darci lo sprint per lottare" - Intervista allo scrittore Vincenzo Restivo
A cura di
Francesco Sansone
Grafica di
Giovanni Trapani
In queste settimane Il mondo espanso dei romanzi gay vi ha parlato
‘L’abitudine del coleottero’, ‘Il
tempo caldo delle mosche’ e ‘Quando le cavallette vennero in città’ tre romanzi di formazione scritti dal giovane scrittore casertano Vincenzo Restivo. Tre opere che ho apprezzato molto come ho fatto con il loro autore quando ho avuto modo di conoscerlo meglio realizzando l’intervista che segue. Parlare di Restivo solamente come scrittore, però, è riduttivo. Vincenzo è anche Mediatore linguistico e culturale, regista del cortometraggio ‘Yeux de Sorciére’, presentato al concorso ‘Les petits lumiere’, e attivista presso l’associazione LGBT ‘RAIN’ di Caserta. Ma ciò che mi ha colpito maggiormente di lui è stata la sua personalità. Nonostante un’adolescenza segnata dal bullismo omofobo, non solo ha saputo affrontarla con una forza che non sempre tutti hanno, ma ha saputo sfruttarla per metterla al servizio degli altri attraverso la scrittura e tutte le sue attività. Il suo modo per dire a quei ragazzi che ancora oggi sono vittime della più ignobile forma di odio, che, nonostante tutto, la vita va vissuta e che niente e nessuno deve spingerli a porvi fine.
tempo caldo delle mosche’ e ‘Quando le cavallette vennero in città’ tre romanzi di formazione scritti dal giovane scrittore casertano Vincenzo Restivo. Tre opere che ho apprezzato molto come ho fatto con il loro autore quando ho avuto modo di conoscerlo meglio realizzando l’intervista che segue. Parlare di Restivo solamente come scrittore, però, è riduttivo. Vincenzo è anche Mediatore linguistico e culturale, regista del cortometraggio ‘Yeux de Sorciére’, presentato al concorso ‘Les petits lumiere’, e attivista presso l’associazione LGBT ‘RAIN’ di Caserta. Ma ciò che mi ha colpito maggiormente di lui è stata la sua personalità. Nonostante un’adolescenza segnata dal bullismo omofobo, non solo ha saputo affrontarla con una forza che non sempre tutti hanno, ma ha saputo sfruttarla per metterla al servizio degli altri attraverso la scrittura e tutte le sue attività. Il suo modo per dire a quei ragazzi che ancora oggi sono vittime della più ignobile forma di odio, che, nonostante tutto, la vita va vissuta e che niente e nessuno deve spingerli a porvi fine.
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Vincenzo,
in queste settimane abbiamo parlato dei tuoi tre romanzi di formazione e quindi
vorrei iniziare chiedendoti di tracciare
un quadro generale delle fasi lavorative dei tre libri.
In cosa sono state simili e in cosa si sono distinte?
Ok... cominciamo bene (ride, ndb). L'intenzione è
sempre stata quella di toccare tematiche che avevano a che vedere con
l'universo LGBT e le sue mille sfaccettature. In aggiunta a ciò c'è inevitabilmente
la componente autobiografica che più o meno, compare in tutte e tre le opere. L'abitudine del coleottero è stato
pubblicato nel 2013 dalla Watson
edizioni, ma allora non sapevo che ci sarebbe stato un secondo e anche un
terzo libro. Ero già felice così. Tuttavia il libro andò più che bene e fu
accolto con commenti positivi non solo dal mondo LGBT, per questo mi sono detto
che fosse giusto cimentarmi e dar voce ad altri personaggi, ad altre storie che
avevano altro da dire. L'abitudine del
coleottero tratta di famiglie lgbt, Quando
le cavallette vennero in città affronta invece il discorso scomodo degli
abusi sessuali da parte di uomini di chiesa,
Il tempo caldo delle mosche invece è più introspettivo, sfiora l'orrore, ma
è sempre un orrore quotidiano, come quello della presenza di un padre violento
e padrone.
Tre temi per nulla semplici, ma tu li hai saputi trattare con
delicatezza. Ma cosa ti ha spinto a sceglierli?
Sicuramente un passato personale segnato da
episodi di omofobia. Vivo in un paese di provincia e quando vivi nella
provincia, spesso i panni sporchi non è detto che vengano necessariamente
puliti in famiglia. Ci si conosce un po' tutti e un omosessuale deve fare i
conti con tutto quello che concerne il "non dire", "il non
rivelarsi", per evitare che "la gente parli". Ci si preoccupa
troppo del giudizio degli altri, nelle piccole realtà provinciali. E sedici
anni fa la situazione era ancora peggio. Di amici ne avevo pochi o non ne avevo
affatto. La scrittura e i libri si può dire, mi abbiamo dato quell'amor proprio
che mi mancava e col tempo, le parole scritte e quelle lette, sono diventate le
mie amiche. E ora sono qui. Sono gay e orgoglioso di esserlo.
Ora sei orgoglioso, ma cosa hai dovuto subire prima di poter vivere
serenamente la tua omosessualità?
Come ti dicevo, la mia adolescenza non è stata affatto
un gioco da ragazzi. Ho capito che la parola "Ricchione" è l'insulto
più spregevole che possano mai farti, specialmente se accompagnato col gesto
del dito, a stuzzicare il lobo dell'orecchio. Ho capito che
"Ricchione" non sta solo per "frocio di merda", ma ha che
fare con altri tipi di pragmatismi. Ha diversi substrati di significato che
riguardano: il preferire l'italiano al dialetto, il preferire un libro a una
partita di calcetto, il cercare di risolvere le diatribe con la perseveranza
della parola giusta invece che con violenza fisica e verbale. Io ero “Ricchione”
perché ero tutte queste cose. Ancora oggi risentire quest'offesa mi fa un certo
effetto.
Beh, purtroppo ancora oggi le cose non sono cambiate e molti ragazzi
soffrono per questo tipo di insulti. Deduco, quindi, che la scelta del genere di
formazione è il tuo modo per dire ai lettori, magari proprio a quei giovani
vittime di omofobia, che, nonostante
le batoste, la vita vale la pena di essere vissuta, giusto?
Giustissimo, Francesco. È proprio questo il
punto. La vita vale la pena di essere vissuta. E anche se per noi omosessuali
ancora oggi, sembra che le cose siano più difficili (sia per una questione di
mancanza di diritti che per problemi di inclusione), è proprio questa
difficoltà che deve darci lo sprint necessario per lottare affinché le cose
cambino. Oggi sono socio e consigliere dell'associazione
RAIN LGBT casertana e tutti i giorni il nostro obiettivo è il riuscire a
indottrinare una realtà ancora fin troppo ottusa e chiusa alle problematiche
delle minoranze sessuali. Ma ti assicuro che le soddisfazioni personali sono
tante.
Continua sotto...
Posso capire la tua soddisfazione. Se con quello che si fa, si riesce a
far cambiare idea o aiutare anche solo una persona, bisogna essere contenti.
Torniamo, però, ai tuoi lavori. Tre romanzi e tutti con protagonisti
giovani a cui hai affidato qualcosa di
autobiografico. Cosa c’è di te in Vincent, Martin e Andy?
Come ti ho accennato in precedenza, ognuno ha
qualcosa di me, chi più chi meno. Mi riferisco a pezzi di ricordi, qualche
aneddoto, la descrizione fisica, la personalità. Vincent de L’abitudine del coleottero e Martin di
Il tempo Caldo delle Mosche, sono
entrambi l'adolescente che ero, magro e debole, completamente preso dalle mie
paranoie e la paura di diventare grande. Anche il desiderio sessuale, come in
Vincent e Martin, per me era il campanello d'allarme che qualcosa
inevitabilmente stava per finire. Ma la paura del cambiamento non mi appartiene
più. Ora sono Andy di Quando le
cavallette vennero in città, che non ha più paura di dire le cose come
stanno, che andrebbe fin in capo al mondo per avere le sue risposte. Ma come
Andy ho ancora dei traumi inevitabili che mi porto appresso e che, sono
consapevole, mi accompagneranno per sempre. Certe ferite non vanno mai via,
diventano parte di te, segni indelebili sul corpo a dimostrazione di quello che
si è stati e di quello che si sarà.
Da come parli, sembra che tu conviva benissimo con questi segni, anzi.
Ho l'impressione che in qualche modo tu sia grato di aver vissuto certe fasi
della tua vita. È così?
È così. I segni, belli o brutti che siano, sono
la cartina geografica del tuo corpo. Indicano le strade che hai percorso, i
torrenti dove sei inciampato, le montagne che hai scalato, le vette che hai
raggiunto, i boschi dove ti sei perso e poi ritrovato. Abbiamo bisogno dei
nostri segni. Quei segni siamo noi.
Io dico sempre che la vita va
vissuta con le gioie e con i dolori. Solo così si può dire di aver vissuto una
vita con la V maiuscola. E quindi non posso che pensarla come te.
Parliamo di donne. Nei tuoi romanzi la figura della donna è
centrale. A lei hai affidato il compito di custodire la verità di quei segreti
che, in qualche modo, condizioneranno per sempre la vita dei protagonisti.
Anche questa importanza è qualcosa legata alla sfera autobiografica?
Ho sempre vissuto in mezzo alle donne. Mia madre,
mia zia e mia nonna sono state le figure di riferimento che mi hanno sempre
accompagnato durante gli anni più importanti della mia vita. Da mamma ho
imparato il gusto per l'avventura, da nonna la pazienza dell'attesa, da mia
zia, la buona cucina e la vita mondana. E sono arrivato alla concezione che le
donne sono più forti di noi. Più caparbie, più tenaci. Sono il vero sesso
forte.
E come darti torto. Anche io sono cresciuto in mezzo alle donne e grazie
a loro ho avuto modo di avere una visione più ampia della vita. Una fra tutte
la capacità di far quadrare i conti anche quando è quasi impossibile.
Confesso che continuerei a parlare con te per
ore perché è davvero un piacere ascoltarti, ma siamo arrivati all’ultima
domanda. In questi giorni, mentre ci
sentivamo per organizzare il tutto, mi hai detto che i libri non sono di chi li
scrive, ma di chi li legge. Ti chiedo: da scrittore cosa speri arrivi dei tuoi
romanzi al lettore?
Da scrittore spero sempre che arrivi tutto. Che
arrivi tutta la mia intenzione. Ma so anche che nei libri ognuno alla fine, ci
deve un po' quello che vuole. E la visione cambia a secondo del periodo di vita
in cui leggi un libro. La percezione è condizionata dall'età, dalle esperienze
vissute fin a quel momento, dalle aspettative e da tanti altri fattori.
Tuttavia, spero che arrivi almeno il cinquanta percento della mia intenzione.
Spero che arrivi la denuncia sociale di fondo, spero che arrivi il grido di
ribellione agli standard imposti da una massa ancora troppo totalitarista e,
infine, spero che arrivino le storie dei protagonisti e che un po' tutti, i un
modo o nell'altro, in loro si identifichino.
Beh, fartelo dire da uno che li ha letti: sei riuscito a trasmettere
tutto quanto, e non lo dico perché stiamo parlando, ma perché è la verità.
E questo non può far altro che riempirmi di
orgoglio e motivazione (sorride imbarazzato, ndb)
E fai bene a esserlo. Hai creato davvero tre piccoli gioielli e ti
auguro di continuare così.
Io ce la metto tutta. Con la speranza di
incontrare, lungo il mio cammino, sempre più lettori in gamba.
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