"Dai tempi del fascismo, in Italia non ci siamo mai liberati dal desiderio di annientamento del concetto di ‘omosessualità'." L'intervista esclusiva a Christian G. Moretti

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Ieri vi abbiamo parlato di ‘L’attesa delle isole’, il nuovo e intenso romanzo di Christian G. Moretti che affronta quarant’anni di storia
omosessuale partendo dalle deportazioni a cui erano costretti i gay in periodo fascista fino ad arrivare ai giorni nostri attraverso la storia del protagonista Michele.
Abbiamo raggiunto l’autore per un’intervista esclusiva per discutere con lui alcuni aspetti della storia, ma anche per dare modo di spiegare le sue personali sensazioni in fase di scrittura.

D.Affronti il tema della deportazione omosessuale durante il fascismo. Come sei arrivato a questo tema e cosa ti ha spinto a incentrare una parte del romanzo su di esso?
R.Ho voluto accendere i riflettori su una bruttissima storia, una storia che davvero pochi conoscono, una storia che non viene menzionata quasi mai in Italia. La deportazione degli omosessuali alle Isole Tremiti (Fg), una pagina tristissima della storia italiana, mirò all’eradicazione di una specifica categoria della società tramite l’esclusione di tutti coloro che ne facevano parte o presunti tali. Tramite l’esilio in luoghi remoti, il fascismo cercò di nascondere l’omosessualità agli occhi della società, una società in cui ‘sono tutti maschi’ (come diceva Mussolini) e così facendo, l’avrebbe trasformata agli occhi delle masse in qualcosa di inesistente proprio perché essa non era contemplata dalla razza italiana. È importante parlare di questa tematica perché il concetto di base è esattamente quello secondo cui determinati individui affermano che l’omofobia non esiste, che affermano che il matrimonio egualitario rappresenta la discriminazione delle famiglie ‘tradizionali’ (tradizionali rispetto a cosa poi???Chi decide cos’è tradizionale? Chi crea le tradizioni? E chi stabilisce che esse siano giuste o sbagliate?). Ho voluto parlarne perché credo che quello che stiamo vivendo in Italia non sia poi così diverso da quello che accadde qualche decennio addietro, c’è un perenne senso di ‘fastidio’ a parlare di uguaglianza, una costante tendenza ad ignorare, escludere e cancellare l’evidenza della natura.
Sono arrivato a questo tema dopo molti anni di studi, ho fatto un dottorato di ricerca in letteratura italiana e spagnola sul fascismo e ho scritto vari saggi su tematiche quali la repressione e la sofferenza durante il regime fascista in Italia e Spagna. Ho trovato davvero poche informazioni e studi su questa brutta storia ed è per questo che ho cercato di darle l’attenzione che merita, ho voluto rompere quella maledizione che ha relegato e che continua a relegare quegli esiliati nell’oblio da troppi anni.
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D. Il pregiudizio, che accompagna Michele nella prima parte della sua vita, sarà il pretesto con cui un isolano, che vuole nascondere e annientare la propria omosessualità, lo violenterà. Sembra assurda come cosa, ma è una verità quella che spinge gay repressi a diventare i peggiori degli omofobi. Ci spieghi perché hai voluto affrontare questo tema?
R. Assolutamente. Molte volte si dice che noi siamo i nostri peggiori nemici e a volte è davvero così.
Quante volte ci si imbatte in persone che, in ogni ambito, pur di nascondere sé stessi sono disposte a distruggere gli altri? Mors tua, vita mea, d’altronde. Certo, ci sono le persone coraggiose e occorre dare loro importanza, ma ci sono anche altri che pur di non esporsi sono disposti a distruggere quelli come loro, nel tentativo estremo di recidere le loro emozioni. Molte volte questo succede consciamente, altre volte inconsciamente. Ho voluto parlare di questo tema poiché non bisogna escludere nessun aspetto quando si parla di discriminazione e di omofobia. Questi concetti non sono fissi, non seguono dinamiche precise, hanno infinite sfaccettature e occorre saperli riconoscere per combatterli. C’è un’omofobia palese e c’è anche un’omofobia interiorizzata, forse più meschina, più violenta e più dolorosa.

D. Affronti la questione omosessuale sia dal punto di vista italiano sia dal punto di vista irlandese. Visto che in te ci sono entrambe le esperienze, cosa hai riportato di tuo nel vissuto di Michele?
Il romanzo non è biografico, metto davvero molto poco di personale nelle mie opere, mi piace immaginare realtà diverse dalla mia, mettere in gioco la mia immaginazione; però c’è sempre qualche elemento che mi ha colpito a livello personale. Sono un grandissimo osservatore della realtà e molte volte mi soffermo su un’immagine, un profumo, una situazione particolare; inserisco questi elementi nei miei lavori e cerco di trasformarli. Ho la fortuna di vivere in una nazione bellissima che amo profondamente, l’Irlanda, e ho deciso di inserire una serie di descrizioni accurate su come si vive qui, sui paesaggi, sulle persone e sui luoghi. Ne ‘L’Attesa delle Isole’ vi sono molte descrizioni di luoghi che adoro personalmente come: Killarney, Killaloe, Galway. Ho descritto le emozioni contrastanti che ho vissuto personalmente durante i giorni precedenti al referendum sul matrimonio ugualitario, lo scorso 22 maggio. Ho voluto descrivere la semplicità delle persone irlandesi e dei loro ritmi, la bellezza delle Isole Tremiti (arcipelago non lontano da dove ho passato la mia infanzia e di cui ho ricordi bellissimi). Credo che uno scrittore debba essere in grado di scattare una fotografia, di fermare un’immagine particolare che sfugge agli occhi di tutti e trasfigurarla in uno squarcio di vita, che può rivelare tutti quei sentimenti che molte volte ignoriamo.

D. La paura di vivere la propria omosessualità porta alcuni dei protagonisti a negare se stessi e a seguire un percorso di vita ‘normale’ che, però, li annienta dentro. Secondo te, chi decide di sposarsi per nascondere la sua omosessualità lo fa più per paura di quello che la gente possa dire e pensare, o per la paura di accettare se stessi?
R. Molte volte entrambi. Non mi sento di giudicare, non l’ho mai fatto e mai lo farò. Sono una persona molto liberale. Vi sono persone che fingono, che decidono di seguire un determinato percorso di vita pur di mettere a tacere determinate voci e vi sono altre persone che seguono il medesimo percorso senza nemmeno rendersi conto che in realtà esso non è quello giusto per loro. Bisogna considerare che non tutti hanno l’esperienza o i mezzi per capire la propria sessualità, molti vivono in ambienti in cui l’omofobia è talmente radicalizzata che rappresenta la norma della società e non hanno modo di rivedere determinati canoni e di rapportarsi a una realtà variegata.
Questo è proprio quello che ho cercato di dipingere nel mio ultimo romanzo, fino a vent’anni fa l’Irlanda era un luogo in cui l’omofobia era talmente impregnata nella società che il termine ‘omosessuale’ non veniva mai nemmeno pronunciato, veniva negato in modo tale da non ‘risvegliare’ determinati sentimenti negli animi delle persone e quindi in maniera tale da non offrire alcuna possibilità di rapportarsi a canoni diversi (esattamente quello che il fascismo fece in Italia, si pensi al fatto che il Codice Rocco non menzionava l’omosessualità proprio per questo motivo). Niall decide di sposarsi per paura di rapportarsi ad una realtà a lui sconosciuta ma questa decisione lo logorerà per tutta la sua vita. Occorre non giudicare determinate scelte, esattamente come fa Michele nell’opera, ma cercare di capire il dolore e la solitudine che le originano e, con molta calma e comprensione, provare a scardinare quei dogmi e pensieri che le alimentano fino a squarciare quel velo che copre gli occhi di chi non vuole o non riesce a vedere la propria natura, negandosi felicità e libertà.
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D. I sentimenti affrontati nel romanzo sono tanti e, a parte qualche attimo di serenità, tutti sono incentrati sulla sofferenza. Quanto la sofferenza di Michele ha avuto ripercussioni su di te durante la scrittura?
R. Questa è davvero una domanda interessante. Sarò sincero, in determinati momenti il processo di scrittura è stato talmente pesante che sentivo un fortissimo senso di oppressione sulla mia testa, come una prigione che non mi permetteva di uscire. Scrivere quest’opera non è stato facile, non è mai facile parlare di sofferenza ma occorre sempre essere sinceri con se stessi e combattere per quello che si ritiene giusto. Soprattutto nel processo di rilettura e correzione il dolore dei personaggi mi invadeva il cuore e la mente e dovevo prendermi una pausa per poter ritornare alla mia realtà. È un romanzo molto intenso e occorre prendersi il tempo necessario per leggerlo e riflettere.

D. Per concludere, nel romanzo la narrazione arriva fino ai giorni nostri e quindi al referendum che in Irlanda ha reso possibile il matrimonio egualitario fra le persone dello stesso sesso. Come ci si sente a sapere che il resto del mondo va verso la direzione dell’uguaglianza e in Italia si deve ancora assistere a politici che parlano di unioni sbagliate paragonabili a rapporti uomo e animale?
R. Ho appena finito di leggere un libro che si chiama: ‘Ireland Says Yes’ e che racconta tutti i retroscena della campagna elettorale a favore del ‘Sì’ e ti posso dire che tra le due nazioni vedo una differenza sostanziale. In Irlanda, durante la campagna, TUTTI gli esponenti politici (e davvero proprio tutti) si schierarono per il ‘Sì’, vi fu una presa di coscienza generale e la nazione capì che questo referendum non aveva nulla a che fare con la politica ma con la vita di tutti i giorni e di tutti i cittadini. Il leitmotiv della campagna, da parte di ogni esponente politico, era: ‘Un’Irlanda più giusta e libera per tutti’ e questo incapsulava davvero il sentimento alla base del referendum. I politici non facevano demagogia, si limitavano a parlare di fatti, di statistiche, di scienza. Quello che mi ha particolarmente affascinato di questa campagna è stato il fatto che politici, personaggi pubblici e gente comune hanno abbracciato l’iniziativa: ‘Io voto ‘Sì, chiedimi perché’. L’iniziativa consisteva nell’indossare una spilla con la frase ‘Yes Equality’ e ognuno poteva fermarti per strada e chiedere le tue motivazioni; questo portò a una presa di coscienza sul fatto che questo referendum non c’entrava davvero nulla con la politica, con la demagogia, con la religione e con teorie astratte; era qualcosa che avrebbe condizionato la società e la realtà di tutti i giorni. Questa iniziativa voleva mandare un messaggio ben preciso: ‘Noi esistiamo!’. Credo che la differenza fondamentale tra Italia e Irlanda sia proprio questa, mentre in Italia ci si perde in discussioni interminabili, in demagogia, in teatrini spiccioli tra partiti, in Irlanda si agisce e si conquistano le libertà. Dai tempi del fascismo, in Italia non ci siamo mai liberati da quel desiderio di annientamento del concetto di ‘omosessualità’, prima lo si faceva tramite l’esilio, oggi lo si fa decentrando il nocciolo della questione, passando per vie traverse e lunghissime e fino ad arrivare a una completa trasformazione di esso (vedi la revisione e lo stralcio del DDL Cirinná in Parlamento); le masse, quindi, si perdono in tutte queste parole sprecate, in tutti questi concetti usati a vanvera, si distrae dalla vera essenza del diritto di libertà e quindi, la questione diventa sempre meno urgente e, con il passare del tempo, (sperano i politici omofobi), essa cesserà di essere considerata e, in ultima analisi, di esistere.