Annemarie De Carlo - L'intervista

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Annemarie De Carlo vive tra Londra e una paesino della bassa bolognese col marito e i suoi due figli. È una fan appassionata di Mika, e 'Anime alla deriva' è nato da una folgorazione creativa dopo aver ascoltato la sua 'Stardust' cantata in duetto con Chiara Galiazzo a Xfactor.Il mondo espanso dei romanzi gay l’ha intervistata per sapere qualcosa in più del suo romanzo pubblicato con Amarganta edizioni e per conoscere qualcosa in più su di lei.


Annemarie, ci racconti come nasce il libro, che ha una storia molto particolare e complicata?
È molto difficile per me spiegare questa cosa. Perché si è trattata proprio di una cosa inaspettata, non voluta, non cercata. In un certo senso molta parte della scrittura di questo libro l’ho subita, e a tratti con tanta sofferenza. Era un argomento, quello dell’identità sessuale delle persone, che non mi apparteneva. Non ho mai avuto in vita mia, neppure per un istante e nemmeno oggi ne ho, dubbi sulla mia identità personale. So chi sono, so cosa voglio e l’ho sempre saputo. E fino al momento in cui ho iniziato a lavorare ad Anime alla deriva, non mi ponevo né mi importava pormi il problema a riguardo. Come da più parti è stato scritto e denunciato, io ero una di quelle persone che a fatica comprendevano l’esistenza del problema di porsi delle domande circa se stessi e fino a un certo punto riteneva che non fosse neppure un mio problema interessarmene. Poi è arrivato Brian Longwood. Personaggio che ho inizialmente iniziato a costruire sulla personalità e fisicità di una pop star inglese da me molto amata. Brian, inizialmente non doveva essere gay, ma “il personaggio” ha iniziato a gridarmi all’orecchio che invece lui il problema se lo poneva eccome, visto che aveva un amante-compagno uomo. Attraverso Brian e il suo percorso umano, che piano piano si dipanava davanti ai miei occhi mediante la scrittura (che ripeto, per molti versi si è quasi trattata di “scrittura automatica” come se fossi sotto dettatura di una trance particolare) ho iniziato a guardare le cose con altri occhi. Ho letto. Ho guardato film a tematica LGBT. Ho iniziato a chiedere, sulle prime intimidita e in qualche modo imbarazzata rispetto a certi argomenti e soprattutto alla banalità di certe domande, rendendomi conto fin da subito che ero zeppa di concezioni stereotipate. Ho studiato. Ho ascoltato testimonianze, ho letto articoli su blog a tematica LGBT. Ho letto romanzi MM e LGBT. Ho provato anche molto rimorso e vergogna. Per non aver capito prima, per esempio. Per esser stata per tanto tempo indifferente. Non dico di esser diventata un’esperta, la mia ignoranza in materia è ancora molto vasta, ma ho una visione totalmente differente della situazione oggi come oggi. Per prima cosa, ho capito quanto fossi colma di pregiudizi e di concezioni stereotipate. E per terminare, oggi dentro di me, dentro la mia anima, nel più profondo esiste un disgusto totale per tutto ciò che è emarginazione, razzismo, violenza, omofobia.
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I protagonisti sono Brian e Bianca, uno popstar gay inglese, l’altra una neolaureata italiana, emiliana per l’esattezza, che per qualche motivo sono ostacolati dagli angeli e dai demoni. Insomma siamo in presenza di un fantasy a tutti gli effetti. Come nasce la tua passione per questo genere?
Ho sempre amato il fantasy. Ma ho iniziato a leggerlo sistematicamente dopo che i miei figli, a scuola, dovendo leggere durante le vacanze estive almeno due, tre libri a scelta, mi facevano comprare libri fantasy. Poi, siccome restavano il più delle volte a impolverarsi sullo scaffale, per dare a quei libri almeno la dignità di una lettura, ho iniziato a leggerli io. E così ho letto Licia Troisi e Francesco Falconi per il fantasy “giovane” italiano e contemporaneo. Nello stesso periodo iniziava a farsi strada una serie di libri che in Inghilterra avevano avuto un estremo successo di pubblico e di letture e che aveva come protagonista un giovane ragazzino di 11 anni con una strana cicatrice a saetta e che scopriva all’improvviso di essere un mago. E’ stato amore folle. Ho letto Harry Potter e tutti i sette libri almeno quattro volte ciascuno. Poi sono venuti Tolkien, C.S.S. Lewis e successivamente i più contemporanei Ursula K. Leguin (Earthsea), Silvana De Mari (La saga degli Ultimi), Jonathan Stroud (Trilogia di Barthimeus), Pullman (Queste oscure materie), Rick Riordan (Percy Jackson) e ultimamente la G.R.R. Martin (Cronache del Ghiaccio e del Fuoco) Stephenie Meyer (Twilight), Cassandra Clare (Shadowhunters) e Diana Gabaldon (Outlander). Il fantasy è il genere che preferisco leggere quando voglio evadere e rilassarmi.

La storia è narrata in prima persona da diversi io narrativi che permettono al lettore di scoprire i dettagli delle vicende a 360 gradi. Una scelta azzardata, se vuoi, eppure io l’ho trovata efficace per il tipo di romanzo. Perché hai scelto questo stile?
Una scelta molto azzardata e che mi ha dato tanto filo da torcere. Non tanto in termini di scrittura e realizzazione perché, come ho già detto prima, ho scritto l’intero romanzo (e il suo sequel) sotto quasi una sorta di trance-dettatura. Ma a causa della lunga indecisione proprio riguardo al modo di raccontare questa storia. Che tutti i personaggi dovessero avere diritto di parola in questo romanzo, per me è stato chiaro fin da subito. Poi sono iniziati i dubbi, e il tormentone: “ma sarà conveniente scrivere una storia in questo modo?” E soprattutto: “il lettore comprenderà i vari piani narrativi e le varie voci narranti saranno abbastanza caratterizzate?” Per lungo tempo ho pensato di ridurre le voci narranti al minimo di due, massimo tre. Poi, siccome non mi convinceva affatto come era stato realizzato, ho ripiegato sulla decisione iniziale e ho liberato le altre voci. Da quel momento tutto è filato molto più liscio. Ma non credo ripeterò l’esperienza. Troppa confusione nella mente con tutta quella gente che sgomitava per essere ascoltata e parlare (sorride, ndb).
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Nella biografia che mi è stata fornita, ho letto che il libro nasce, cito fedelmente, “da una folgorazione creativa dopo aver ascoltato la sua [di Mika] ‘Stardust’ cantata in duetto con Chiara Galiazzo a ‘X Factor’. Mi spieghi meglio questa cosa?
Mika è la mia musa ispiratrice. Sotto l’effetto ipnotizzante della sua musica – specialmente le canzoni degli ultimi album e quelle più intimiste e meno popolari, meno “di cassetta” – ho scritto un incredibile numero di pagine e racconti e questo romanzo. La storia stessa di partenza di Anime alla deriva è nata dalla folgorazione di un attimo e dell’ascolto di Stardust (Mika, The Origin of Love, 2012), cantata in duetto con Chiara Galiazzo a Xfactor 6 nel dicembre 2012. Infatti Brian Longwood rimane ossessionato dalla voce che ascolta in una demo senza nome e da quel momento deve cercare quella voce da cui è stato conquistato. Io, ascoltando la mescolanza perfetta delle due voci, quelle di Mika e Chiara su quel palco, sono rimasta colpita (ma la parola giusta è sul serio “folgorata”) e con emozioni così forti da dover scrivere quella storia e a ogni costo. Avrei potuto scrivere una fanfiction, che magari sarebbe sfociata in un amore etero tra Mika e Chiara e invece è comparso Brian Longwood, gay, in crisi con il fidanzato e alla ricerca di una voce di donna incantevole. E Loro e Gli Altri,  in lotta per riunirli o dividerli a seconda della “Missione”. Questo è stata la molla che ha fatto partire tutto ma che ha fatto andare ben oltre e molto più lontano la freccia che ha scoccato.

Per concludere, sei soddisfatta del risultato raggiunto e del riscontro che ha avuto nei lettori?
Ho avuto pareri contrastanti. Alcune mie affezionate lettrici hanno amato tanto ‘Anime alla deriva’ al punto da chiedermi a gran voce un sequel, cosa che in effetti ho poi scritto e proprio sull’onda di quelle richieste. Alcune recensioni sono state positive ed entusiaste, altre invece un po’ tiepide, a causa di un finale che – senza spoilerare – è un po’ controverso, e non hanno gradito. Ma tutto sommato, sono contenta perché è un romanzo che suscita reazioni e quando ciò avviene, l’autore ha già raggiunto il suo scopo. Per cui sì, sono soddisfatta del riscontro e del risultato.