«Nessuna battaglia ideologica può avere come stendardo l'odio nei confronti di altri individui.» Intervista allo scrittore Andrea Lupo
A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
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Grafica di Giovanni Trapani
Ieri vi ho parlato di Il respiro della terra, il primo romanzo del giovane Andrea Lupo. Un libro intenso che non lascia indifferenti e che
spinge alla riflessione. E a me, di riflessioni, il libro ne ha suscitate
diverse. Con l’intervista di oggi, ho voluto parlarne con lupo per avere anche
il suo punto di vista e cercare di capire maggiormente l’intento con cui ha
dato vita a questa storia.
Prima di lasciarvi al mio incontro con Andrea, ci tengo a scusarmi pubblicamente con lui. Chi segue le
varie declicanzioni de Il mio mondo
espanso, sia qui che attraverso i socials, si sarà reso conto che la mia
attività è parecchio dimunita recentemente. So di averlo detto spesso negli
ultimi anni, ma mi ritrovo nuovamente a vivere un momento difficile, forse
anche più duro dei precedenti, che mi ha impedito di dedicarmi con la giusta
dedizione ai blog. Questo si è riversato anche su Il mondo espanso dei romanzi gay e in particolare sulla
collaborazione con Lupo. Questo “incontro”
doveva essere on line quasi un mese fa, ma non mi è stato possibile garantire
la parola data. Per questo ringrazio Andrea,
ma anche tutti gli autori di cui vi ho parlato nelle ultime due settimane, per
la comprensione e la gentilezza concessami. Credetemi, non è cosa scontata,
soprattutto quando c’è un lavoro in cui si crede che ha bisogno di essere
conosciuto.
Ora vi lascio all’intervista, che vi assicuro saprà suscitare il vostro
interesse verso il romanzo, ma anche verso questo giovane autore davvero di
talento.
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D. Con il tuo
romanzo tracci la storia sismica che ha segnato il nostro paese degli ultimi
trent’anni. Come è nata la decisione di dedicare un romanzo proprio a questo
argomento?
R. Considero l'argomento
“terremoto” come importantissimo. Sono eventi molto frequenti quelli che si
verificano entro i nostri confini nazionali e che vengono dimenticati con
troppa facilità. Se ne parla quando succede, tutti piangono e si disperano e
dopo pochi mesi molto viene dimenticato, soprattutto “le vittime”, non da
intendersi come quelle persone che, fatalmente, perdono la vita, ma anche i
sopravvissuti scampati alla tragedia che hanno perso dei loro cari, la loro
casa, il loro lavoro e la propria vita... che hanno perso la fiducia e, nei
casi più gravi, la voglia di vivere.
Sono convinto che la storia sismica dovrebbe essere insegnata nelle
scuole e con essa i comportamenti da adottare in caso di terremoto.
D. Adriano, il
protagonista del romanzo, per via dei suoi “incontri” con il terremoto, porta
avanti uno studio con cui capire la
periodicità degli eventi sismici. Il suo intento è quello di trovare un modo
per evitare le innumerevoli vittime che ogni volta seguono a tali eventi.
Tuttavia è impossibile stabilire il momento e il luogo preciso in cui si
scatenerà la furia della terra, e nel romanzo viene chiarito perfettamente.
Allora, ti chiedo, secondo te, come la prevenzione potrebbe aiutare le
popolazioni su questo aspetto?
R. Il Governo dovrebbe dare
il via a delle misure straordinarie per evitare l'ennesima ecatombe. Dovrebbe
dare priorità assoluta alla questione della prevenzione antisismica nel nostro
Paese. Non solo mettendo a norma edifici costruiti senza criteri antisismici,
ma, nelle città ad elevatissimo rischio sismico, si potrebbe pensare, per il
bene della popolazione, di costruire dei villaggi completamente realizzati in
legno in ampie zone aperte prima dei prossimi eventi. In questo modo si
potrebbero salvare centinaia se non migliaia di persone. E' ovvio che
costerebbe tantissimo un'operazione del genere, che sarebbe anche molto
difficile da coordinare, ed è certo che gli enti non ci guadagnerebbero niente,
ma la vita del popolo non dovrebbe avere prezzo. Mettere in sicurezza i
monumenti storici è più difficile, in alcuni casi probabilmente impossibile, ma
la questione principale è la vita delle persone. Non è il terremoto ad uccidere
direttamente, ma le nostre costruzioni. Se tutte le nostre città fossero
costruite in legno non morirebbe nessuno o, per lo meno, gli effetti sulla
popolazione sarebbero straordinariamente ridotti.
VI LASCIO CON UNA PROVOCAZIONE. I terremoti nel nostro paese non hanno
mai superato, a memoria d'uomo, magnitudo 7.4. Eppure, per un solo evento, come
quello del 28 Dicembre 1908 (7.1 della scala Richter), sono morte circa 100.000
persone. E com'è possibile che in Cile, invece, per il terremoto di magnitudo
8.3 del 16 Settembre 2015, siano morte
solo una quindicina di persone?
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D. Nel romanzo ci
sono diversi passaggi che mi hanno colpito e vorrei parlarne con te. Iniziamo
dal seguente periodo: «La storia si ripete, questa è la realtà. E si ripeterà
di nuovo a prescindere dalle speranze di noi piccoli uomini impotenti.» Il
ripetersi della storia è più una causa da addebitare al destino o all’uomo che,
una volta passata la paura del momento, tende a dimenticare tutto, lasciando
tutto esattamente com’è?
R. Decisamente la seconda.
Il fatalismo è la fine del buon senso e l'inizio dell'oblio della nostra
civiltà.
D. A proposito di
questo, sempre nel romanzo si legge: «I problemi non li vogliamo vedere fino a
quando non ci siamo dentro fino al collo, quando ormai è troppo tardi, quando
non ci resta che piangere.» Come sei
arrivato a questa conclusione?
R. È il tipico
atteggiamento italiano. Sembra che ormai sia parte della nostra cultura, del
nostro pensiero. Si potrebbero fare migliaia di esempi. E il terremoto, con la
sua furia incontrollata, è una dimostrazione palese di ciò. Invece di agire
prima dell'evento, aspettiamo che si verifichi, per poi lamentarci, ma ormai è
troppo tardi.
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D. Nel romanzo,
dato che il protagonista è gay, affronti anche la strumentalizzazione di Radio
Maria. Infatti uno dei conduttori definì gli ultimi terremoti come una
punizione divina a causa del riconoscimento delle unioni civili. Secondo te cosa
spinge certi individui a fare dello sciacallaggio becero in questi momenti? La
personale battaglia ideologica può
giustificare tale comportamento?
R. Non so cosa possa
spingere tali persone a comportarsi in questo modo. L'unica cosa che mi viene
in mente è l'odio fortissimo e veramente pericoloso che queste provano nei
confronti di particolari “categorie” di essere umani. Nessuna battaglia
ideologica può avere come stendardo l'odio nei confronti di altri individui. La
definirei più una “feroce propaganda contro il buon senso” e senza il buon
senso non esistono opinioni fondate, ma solo volgarità superficiali che non
solo andrebbero combattute, ma ignorate, poiché dare anche solo la minima
attenzione a tali “atteggiamenti lesivi delle libertà personali” significa, in
qualche modo, dar loro credito e forza. Infatti, nel romanzo, Adriano evita di
dare peso alle affermazioni senza senso dello speaker di Radio Maria, quando ne
viene a conoscenza.
D. Adriano in
qualche modo è collegato a tutti gli eventi sismici di questi trent’anni. Da
lettore, ti confesso, ho avuto bisogno di tempo per assimilare tali eventi. A
lettura ultimata, però, mi sono chiesto: se per me è stato emotivamente forte,
per te, che li hai descritti, com’è stato? Ci sono stati momenti in cui l’oppressione
ha prevalso?
R. Ho avuto la fortuna,
finora, di non dovermi confrontare con questa terribile esperienza. Tuttavia,
utilizzando Adriano come strumento principale del mio immaginario, ho sofferto
con lui per la durata di tutta la storia, in particolare durante lo tsunami a
Tamil Nadu, in India.
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D. Per
concludere, cosa speri arrivi al lettore a lettura ultimata?
R. Per prima cosa, spero,
in qualche modo, di suscitare un certo interesse verso quella che è la storia
sismica, soprattutto italiana. In secondo luogo vorrei che chi leggesse il
romanzo si affezionasse ai personaggi, specialmente ad Adriano, che, in tutte
le sue sfaccettature caratteriali e psicologiche, rappresenta sia la fragilità
che la forza dell'essere umano capace di ragionare in modo autonomo ed
innovativo, proiettato verso il progresso. Inoltre, mi auguro che la
sensibilità dei vari personaggi possa essere colta dai lettori più emotivi e
avvicinarli alle loro stesse esperienze di vita. Quello che deve lasciare a
lettura ultimata, dopo l'amarezza, l'angoscia, il terrore e l'incertezza, è un
senso di apatia, intesa come imperturbabilità di spirito; una sorta di
pacificazione dei propri sensi con il mondo, sensazione che si può facilmente
evincere dalle ultime pagine del libro. Il finale non va scambiato per
fatalista o rassegnante, poiché, invece, vi è rappresentata la netta volontà di
ricominciare a vivere.
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