«Le azioni che compiamo costituiscono le basi per i risultati che otterremo.» Intervista allo scrittore Alessandro Dainotti

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Ieri vi abbiamo parlato del romanzo ‘Un giorno qualunque’, mentre oggi pubblichiamo l’intervista che il suo autore Alessandro Dainotti ha rilasciato a Il mondo espanso dei romanzi gay. 
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D. ‘Un giorno qualunque’ traccia la giornata di un ragazzo, mostrandone le azioni compiute nel presente e quelle che, attraverso i suoi ricordi, lo hanno portato fin lì. Come nasce l’idea di strutturare un intero romanzo attorno agli eventi di una sola giornata?
R. La scelta di narrare la storia tutta in un giorno è nata per motivi strutturali del romanzo. L'idea è quella di mostrare le varie vite del protagonista mettendole a paragone fra loro, ma soprattutto confrontandole sempre con quella presente, per rendere più evidente le differenze tra il prima e il dopo. Il modo migliore per farlo mi è sembrato quello di far muovere il protagonista dentro una giornata qualunque, priva di eventi fuori dalla norma (o quasi), ma che comunque può fornire spunti di riflessione sulla propria vita. Un racconto cronologico lineare non mi avrebbe permesso di giocare con le differenze durante tutta la narrazione. In questo modo, una scena a cui Adriano assiste di mattina riporta a galla un ricordo della sua infanzia, e il viaggio nella memoria ha inizio. Adriano può ricordare chi era e paragonare i ricordi felici con la dura realtà del suo presente.

D. Lo slogan del tuo romanzo è: “Il giorno in cui fai le tue scelte non è mai Un giorno qualunque” che è un po’ il leitmotiv intorno al quale ruota la storia di Adriano. Tutto il libro porta a pensare che ciò che capita nel presente è una conseguenza delle azioni del passato e che nulla è casuale. Ci spieghi meglio questo concetto?
R. Esatto. Quello che noi facciamo e pensiamo oggi è una diretta conseguenza di come ci siamo comportati ieri. Secondo me ruota tutto intorno al principio di causa-effetto. Le azioni che compiamo costituiscono le basi per i risultati che otterremo, per i traguardi che raggiungeremo. Se noi facciamo del bene otterremo del bene in cambio. Se noi ci muoviamo spinti dall'odio riceveremo astio dall'esterno. Sta a noi decidere quali intenzioni ed emozioni seguire. Alla fine del romanzo Adriano dovrà rendere conto a se stesso, non ad altri, delle azioni che ha compiuto.
Diverso per quanto riguarda la casualità. Non credo che tutto sia già prestabilito, altrimenti lo sarebbero anche le nostre azioni e non servirebbe il concetto libero arbitrio, mentre il fulcro della storia di Adriano è proprio questo: chi sbaglia, paga.

D. La tua scheda personale dice: “Alessandro Dainotti è nato a Siracusa nel 1983. Dopo il diploma di geometra ha intrapreso gli studi in lingue straniere e si è laureato in editoria e giornalismo alla Sapienza di Roma. Dopo la laurea si è trasferito a Londra, dove attualmente vive e lavora.” Se prendo quella di Adriano, il protagonista del tuo romanzo,  leggo più o meno le stesse cose. Quanto di te c’è in Adriano e quanto si discosta dalla tua persona?
R. Il personaggio di Adriano ricalca molte delle tappe che io ho percorso, quelle geografiche ne sono un esempio. Ha anche alcune passioni simili alle mie, ma gli impulsi che lo spingono ad amare qualcuno, o qualcosa, sono diversi dai miei. Direi che Adriano è come un buon amico dai tempi dell'infanzia; siamo cresciti insieme e in ambienti simili, ma siamo comunque due entità separate, ognuno con i propri progetti, desideri, delusioni e, soprattutto, con il proprio modo di approcciarsi alla vita.

D. Nel romanzo affronti diversi temi e io voglio analizzarli assieme a te, ti va? Iniziamo dal fenomeno omofobia. All’interno di ‘Un giorno qualunque’ citi alcune delle aggressioni omofobe più note avvenuti nella capitale, tra cui quella compiuta da Svastichella. Come ti spieghi questo fenomeno? Secondo te cosa lo alimenta?A tuo avviso, la politica e la religione hanno qualche responsabilità?
R. La politica e la religione hanno le responsabilità maggiori. Finché la politica non smetterà di fare distinzioni fra cittadini di serie A e cittadini di serie B, portando avanti dibattiti sterili e privi della curiosità di capire il mondo come è oggi, coloro che fanno parte della maggioranza, e quindi della norma, vedranno le minoranze come un vicino di casa fastidioso, ma che non può essere allontanato. La religione poi... Quando mi trovo a sentire le parola di padre Giovanni Cavalcoli o di don Massimiliano Pusceddu mi salgono i conati di vomito. Se i primi a non dare un buon esempio sono gli individui che ci governano legislalmente e spiritualmente, come possiamo pretenderlo dalle persone che li votano o li ascoltano?
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D. Passiamo alla questione del tradimento. Dal tuo punto di vista quali sono le dinamiche che portano una persona a distruggere una relazione per fare del sesso con altri? Si tratta di insoddisfazione o della fine del sentimento? E la colpa che spinge al tradimento può attribuirsi solo a chi va con altri?
R. Le dinamiche possono essere tantissime e variano da persona a persona, ma anche da coppia a coppia. Dal mio punto di vista è una insoddisfazione di base che spinge una delle due parti a tradire, e tale insoddisfazione può essere sia di carattere sessuale che emotivo, sentimentale, o anche semplice insicurezza. A volte possiamo tradire pur continuando ad amare chi ci sta accanto, che poi è il motivo per cui nasce il senso di colpa.
Chi compie l'azione ha di certo la maggiore responsabilità, perché al suo pensiero conseguono le sue azioni. È anche vero che in una coppia le cose si fanno in due, quindi bisognerebbe capire cosa è venuto a mancare dall'altra parte. Da questo punto di vista Adriano ha commesso il suo errore più grande, perché non si è messo davanti al problema, o insoddisfazione, ma ha imparato a conviverci, piuttosto che risolverlo, impedendo alla coppia di dialogare e maturare.

D. Infine vorrei parlare dell’emigrazione giovanile. Come te, anche Adriano, dopo la laurea, si trasferisce a Londra in cerca di una vita migliore. Questo è davvero l’unico modo per un giovane per potersi realizzare dato che in Italia né la meritocrazia né le competenze sembrano contare più nel mondo del lavoro?
R. Non credo questo sia l'unico modo, né tantomeno il più facile. Trasferirsi in un altro Paese è un salto nel buio e, per quanto quel Paese lo si conosca, andarci a vivere è un'esperienza a cui si arriva impreparati. Non si deve mai sottovalutare il confronto con una cultura diversa dalla propria, così come sconsiglio di prendere sottogamba la lontananza degli affetti, soprattutto quando ti senti solo perché sei solo. La maggior parte dei miei familiari e dei miei amici continua a lottare quotidianamente in Italia, contro un sistema che, secondo me, non funziona per diversi motivi. La mancanza di meritocrazia e il mancato riconoscimento delle proprie competenze sono due ottimi esempi. L'Inghilterra è lungi dall'essere un Paese perfetto, ma offre molte opportunità che in Italia mancano o, se ci sono, sono riservate a pochi eletti.
Nel mio caso, la scelta di trasferirmi a Londra è stata presa alla leggera. Ero in quella fase di transizione in cui avevo finito gli studi universitari e non avevo ancora un lavoro, quindi non credevo di rinunciare a qualcosa. Ho pensato fosse il momento migliore per imparare l'inglese in previsione di un buon lavoro in Italia, e non sono partito stabilendo a priori la durata della mia permanenza nel Regno Unito. Questo accadeva più di cinque anni fa.

D. Attualmente in Italia viviamo anche il fenomeno inverso, quella dell’immigrazione di persone provenienti da Paesi in cui vivere è impossibile. Questo, però, si scontra con una politica povera di contenuti e di progetti che strumentalizza questi disperati, passami il termine, per meri fini personali. Da emigrato come giudichi tale comportamento, visto anche che il nostro Paese sembra non essere in grado di garantire nulla a chi, come noi, è nato negli anni ’80?
R. Secondo me si dovrebbe sempre tenere in mente che chi emigra lo fa per crearsi un futuro migliore. Può sembrare una cosa scontata, ma non lo è. Nessuno mi giudica negativamente per aver lasciato l'Italia, tutt'altro, eppure si punta il dito contro chi in Italia ci vuole emigrare. Come dicevo prima, il Regno Unito non è la terra dei balocchi che molti credono, ma offre molte possibilità di lavoro e, in un modo o nell'altro, la gente qualche soldo a casa lo deve pur portare. Le dinamiche emigratorie sono le stesse ovunque: gli autoctoni vedono gli immigrati come i ladri dei loro posti di lavoro. In realtà fanno i lavori che gli altri non vogliono fare, e vengono anche sfruttati per questo, senza differenza alcuna tra Regno Unito e Italia.
Tutto questo per dire che, come mia madre può soffrire per sapermi lontano, da qualche parte nel mondo c'è un'altra madre che soffre per sapere il figlio in Italia. Siamo tutti nella stessa situazione, basterebbe solo darci una mano l'un l'altro.

D. Per concludere, sono dell’avviso che ogni opera lasci nell’autore qualcosa: un pensiero, una sensazione, un ricordo. Cosa porterai con te di ‘Un giorno qualunque’?
R. Si dice che la prima volta non si scorda mai, e "Un giorno qualunque"è il mio primo romanzo. Di questo sperimento spero di portarmi il più possibile: la gioia di prendere in mano il mio libro, l'emozione di quando ho firmato il contratto editoriale, il panico delle revisioni, l'ansia di ottenere consensi da chi lo leggerà, la tenacia di non mollare quando sembravo essere a un punto morto, il piacere di vedere le parole riempire la carta. E l'amore per la scrittura.

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