Le interviste - Bert d'Arragon. Esclusiva
A inizio stagione Martin Milk ha consigliato a tutti noi un bellissimo libro dal titolo La libellula di Bert d'Arragon e oggi vi propongo l'intervista che l'autore mi ha rilasciato e nella quale ci parlerà della sua carriera, ma anche di alcuni aspetti privati della propria vita.
Prima di lasciarvi alle parole di Bert d'Arragon, vi anticipo che settimana prossima Federica Lemme vi terrà compagnia con due romanzi della Dreaspinner, non perdeteveli. Inoltre Venerdì su Il mio mondo espanso potrete leggere l'intervista esclusiva che la responsabile italiana della Dreamspinner mi ha rilasciato.
Le Interviste
Bert d'Arragon
Esclusiva
Nella foto: Bert d'Arragon |
Bert
la tua carriera inizia nel 2008 quando vinci il premio Tiziano Terzani per il
racconto Un filo d'erba sotto la tenda di
ieri. Che ricordi hai di quell’avventura e soprattutto cosa ti ha spinto a
parteciparvi?
Ho
partecipato al premio per la semplice ragione che abito a pochi chilometri
dalla casa di Terzani sulla montagna pistoiese: condivido la sua passione per
quei monti e anche quella per il Tibet e la filosofia orientale. Il ricordo
della premiazione è bellissimo: era nella sala dei '500 di Palazzo Vecchio a
Firenze, solenne al massimo. C'erano tanti amici, una sala strapiena! L'unica
nota che stonava era la statua dell'imperatore Carlo V: io discendo – anche se
per tanti angoli e rivoli sotterranei - proprio da quella stessa famiglia. E
allora mi sembrava che l'imperatore mi guardasse in cagnesco e dicesse: “Io
alla tua età ero già imperatore da 15 anni – e tu? Fallito!”
Un
altra cosa che mi è rimasta impressa è l'incontro con la vedova di Terzani,
Angela Staudte, che è nata in Italia ma è tedesca a tutti gli effetti, sia
dall'aspetto che dai modi e dalla parlata. Quindi era buffo che eravamo
praticamente due tedeschi in mezzo a un premio di letteratura italiana!
Però, e spero di non sbagliare nel dirlo, la notorietà arriva con il tuo primo romanzo, pubblicato un anno dopo il concorso, dal titolo La Libellula. Un libro che narra l’amore fra due ragazzi, Giovanni e Pietro, sullo sfondo della seconda guerra mondiale. Come è nato il progetto?
Non
sono mica tanto “Notorious”! In realtà, quel che è arrivato con “La Libellula”
sono le reazioni dei lettori, le presentazioni in giro per tutta l'Italia,
e-mail, messaggi, discussioni che mi hanno arricchito la vita e la conoscenza
del nostro paese in modo del tutto inaspettato. Una delle più belle esperienze
della mia vita. Il progetto del libro in generale è nato da una storia d'amore
finita nel nulla: ho riversato il mio amore e il romanticismo (che poi non c'è
proprio stato!) per un violinista bello, alto e sportivo sui personaggi che
avevo inventato. Il violinista se n'è andato a Vienna scomparendo dalla mia
vita e i miei personaggi li ho buttati nell'Italia tra il 1924 e il 1944, dove
si sono intrecciati le fila delle loro vite con una storia affascinante ma
anche dura e purtroppo ancora attuale.
Tuttavia,
e questa è una domanda che ti fa uno dei lettori del blog che ha saputo che ti
avrei intervistato, quanto tempo hai impiegato a raccogliere tutto il materiale
storico e plasmarlo alla vita dei tuoi personaggi?
Un
visibilio!!! Ho cominciato nel 1986, chiacchierando con i vecchietti che
incontravo in giro per la Toscana. C'era chi diceva: “Ah, tu sei tedesco! Gran
bravi ragazzi, durante la guerra!” Oppure, con più accortezza storica:
“Tedesco? Vedi quelle mura di cinta intorno alla città?” - “Mmh..., quali? No,
non le vedo.” - “Appunto, li avete fatto saltare VOI nel 1944!” Poi, intorno
all'anno 2000 sono state pubblicate anche delle importantissime ricerche sul
tema che ho potuto utilizzare per finire il lavoro di ricerca e scrivere il
romanzo. Il blog del libro lalibellula.wordpress.com
viene visitato spesso perché c'è una parte storica con i personaggi veri che si
ritrovano nel romanzo e anche una bibliografia.
Come
sai il tuo romanzo è stato consigliato nel blog dallo scrittore Martin Milk per
la rubrica Consigli d’autore e quando
i lettori l’ho hanno visto non hanno fatto altro che dire quanto sia bello
questo libro. Che effetto ti fa sapere che il tuo lavoro è entrato nei cuori di
chi lo ha sfogliato tanto da consigliarne la lettura?
Sono
contento per i personaggi che ho inventato! Il libro è edito dall'Istituto
Storica della Resistenza e visto l'importante missione dell'istituzione ho
rinunciato alle “royalties” (che non sono dei muscolosi principi inglesi
dai cappelli rossi che fanno cavolate dalla mattina alla sera facendoci sognare
lo stesso ma i soldi che uno incassa per i diritti d'autore). Quindi non ho
nessun interesse “venale” nella vendita del libro. Sono semplicemente
affezionatissimo ai personaggi della storia, che vivevano prima solo nella mia
testa e ora continuano a vivere, ognuno a modo suo, quando qualcuno legge il
libro e ricrea quei personaggi e le loro storie dando un volto, una voce, dei
movimenti, sguardi e sorrisi a quelle persone.
Parlando
più in generale di La Libellula,
anche questo tuo lavoro è stato presentato a un concorso e classificandosi
secondo al premio Chianti 2010. Che ricordi hai di quella premiazione e che
sentimenti hai vissuto rispetto al concorso dell’anno prima?
Il
premio Chianti è completamente diverso da ogni altro premio, perché la giuria è
formata dai lettori che decidono indipendentemente, senza condizionamenti dalle
grandi case editrici e dai big della distribuzione. Ovvero: ci sono 320
componenti della giuria popolare che leggono i 5 libri finalisti (scelto dalla
biblioteche comunali) e poi ne discutono con l'autore, uno per uno! L'incontro
con me era nel teatro cittadino di San Casciano che, essendo un teatro storico
con 350 posti, era strapieno, dalla platea ai palchi più alti. E la gente, dopo
la mia presentazione iniziale, ha cominciato a fare domande... stare in un
teatro pieno dove tutti hanno letto il tuo libro non ha prezzo. Sono arrivato
poi secondo per pochissimi voti in un finale da fotofinish (è successo anche a
Camilleri). Il più bel concorso letterario d'Italia, direi!
L’anno
scorso invece hai dato alle stampe il tuo secondo libro dal titolo Ichnusa. Ci racconti in breve di cosa parla?
No,
impossibile. E' ambientato in Sardegna e racconta le faccende che nascono
attorno al cantiere di restauro di una vecchia chiesa bizantina. Ma la vera
storia sono le persone che si incontrano attorno a questo lavoro. C'è un prete
in crisi e innamorato di una donna. Una storica d'arte terrorizzata dal fatto
di sentirsi attratta da un brigadiere dei Carabinieri, bello ma imbranato, che
sconvolge la sua vita. Un Ingegnere famoso e influente, gay ma velato, che
comincia una storia con un operaio del cantiere pensando che fosse il solito
ragazzo prestante e stupidello, finché il giovane non rivolta tutta la sua
finta identità. La fotografa fiorentina che rimane affascinata da un ragazzo
paraplegico in carrozzina non pensando che anche i disabili hanno una vita
sessuale. Il tutto sotto l'occhio vigile della famigerata soprintendente Alba
Recaglia e l'improbabile segretaria comunale Rosina Arcais che imbastiscono una
lotta contro la criminalità organizzata assieme al nucleo patrimonio dell'Arma
dei Carabinieri. Andrebbe letto: si scopre un'Italia che, alla buona pace di
preti e politici, è ancora viva e pulsante...
Facendo
un discorso puramente stilistico, quanto credi sia cambiata la tua scrittura da
La Libellula a Ichnusa e quanto sei cambiato tu in questo arco di tempo?
Io
invecchio a vista d'occhio perché voler fare cultura in un paese come l'Italia
è dannatamente difficile. Una vita da zanzara in una goccia di resina che si
sta trasformando in ambra: ogni movimento costa un sacco di fatica! E non me ne
importa niente di diventare un prezioso gioiello fra centomila anni, fino a
prova contraria io vivo oggi. La scrittura... i due romanzi pubblicati sono
molto diversi, il romanzo storico ha altre regole rispetto a un opera che
racconta la vita di oggi. Ichnusa è molto più leggera come scrittura,
anche se i temi – celibato dei preti, disabilità e sessualità, coming out e
visibilità gay ecc. - sono belli tosti. Sicuramente sto imparando meglio a
gestire l'italiano: sono tedesco di nascita e vivo in Italia solo da quando
avevo 21 anni. Quindi qui ho fatto l'Università, ma tutte le scuole le ho fatto
in tedesco. L'italiano sarà anche una lingua facile, come dice qualcuno, ma a
scriverlo bene ci vuole! Purtroppo le case editrici non cercano più un rapporto
interattivo con l'autore, il libro è un prodotto, come una scarpa o un
telefonino: va venduto e quel che conta sono i profitti, non la qualità
letteraria. Quindi, per crescere come scrittore devo cercare il confronto da
altre parti, parlando con i lettori, i colleghi scrittori e i blogger. Dico
blogger, perché nei mezzi di comunicazione tradizionali dei veri critici non
esistono più, il connubio tra editoria, distribuzione e massmedia ha causato
una frittata di interessi commerciali che rendono praticamente nullo l'apporto
costruttivo della critica letteraria alla produzione letteraria: oramai
influisce soltanto sulla vendita, a prescindere dalla qualità o dai contenuti.
Detto così sembra brutto, ma la mia impressione è quella. Invece un lettore o
un blogger, che da me non prende una lira e non ci guadagna nulla se mi tesse
le lodi o mi annienta, dice quel che pensa senza stare dietro a logiche
commerciali. In realtà, uno scrittore che vuole avere un feedback vero sulla
qualità artistica del suo lavoro ha bisogno di quello, non di una critica che è
diventata mero strumento di marketing. Purtroppo l'impatto sul mercato è ormai
un aspetto del tutto distaccato dall'importanza e dalla qualità dell'opera.
Negli
ultimi 15 anni la letteratura che affronta storie e realtà omosessuali si è
sempre più dilagata, però quando tu eri adolescente e prendevi coscienza del
tuo essere gay, hai trovato testi che ti potessero aiutare a non sentirti il
solo a provare attrazione per gli altri ragazzi?
No,
c'erano ben pochi, anche in Germania. Mi ricordo un'antologia di scrittori gay,
che però era corredato di foto e disegni che a quell'età lì mi distraevano
regolarmente da ogni questione socio-culturale. Ho una sorella lesbica e già
per quello non ero tanto solo. Poi ho pensato fin dall'inizio che, se qualcuno
va a letto con me (che che ne dica lui sulla sua eterosessualità corrotta solo
dal mio lascivo essere gay e disponibile), allora tanto solo non potevo essere
al mondo... Dopo ho scoperto le scrittrici lesbiche, che sono fantastiche, tipo
Rita Mae Brown, Natalie Barney e Susan Sontag, ma anche gli autori lgbt
classici, da Baldwin a Puig, Gide, Wilde, Whitman e tanti altri che però non
sempre mi sono piaciuti.
Per
finire, che consiglio daresti a coloro che vogliono diventare degli scrittori?
Dipende
da che cosa ha in mente chi pensa di diventare scrittore. Se vuole comunicare
tramite la letteratura perché ritiene che essa è un canale fantastico e
privilegiato per entrare in contatto con altri e perché pensa di avere davvero
qualcosa da dire, capace di far pensare, riflettere, rilassare, aprire nuove
prospettive... allora è bene che scriva e si confronti con i lettori, non
importa chi siano o quanti siano. Se l'idea è quella di diventare famosi,
guadagnare soldi oppure trovare un pubblico il più possibile largo per le
proprie idee, forse è meglio lasciar perdere. In Italia, ora come ora, ci sono
più persone che scrivono che quelli che leggono. Raccontare solamente “se
stessi” spesso però non è affatto interessante per i lettori e aspettarsi che
gli altri facciano da pubblico alla propria vita più (o meno!) affascinante non
è nemmeno un pensiero troppo carino. La letteratura richiede tantissimo dal
lettore: deve comprare o prestarsi un libro, leggerlo e ricreare la fantasia
dell'autore nella propria testa. E' una fatica e un dispendio di tempo
notevole. Io sono estremamente grato a ogni singolo lettore per la fatica che
affronta. Quindi anche per il lettore ci dev'essere qualcosa di prezioso che
dalla lettura gli rimane. Chi ha questo amore per i lettori e quel desiderio di
regalare alla loro mente qualcosa di prezioso fa bene a scrivere e tirare fuori
il coraggio di condividere i propri testi, esponendosi a lodi e a critiche.
Allora la scrittura porta a soddisfazioni e crescita personale,
indipendentemente dai numeri e dai modi della pubblicazione.
Certo,
si può anche scrivere libri di successo commerciale. Ma allora la cosa di per
sé non mi interessa, perché in realtà è interamente dipendente dal caso e dalle
leggi di un mercato sempre meno orientato alla qualità e sempre più mero
commercio.
Io
personalmente non pubblicherei con le case editrici a pagamento, caso mai, se
per esempio non trovo un editore per il mio nuovo romanzo (una trilogia
piuttosto impegnativa, di nuovo di tema storico e con implicazioni che
riguardano gli approcci religiosi e filosofici d'origine della nostra cultura
europea, oggi in gran parte dimenticati), allora mi auto-pubblico e regalo il
libro ai miei amici o lo vendo a chi me lo chiede. In quel modo lo scambio tra
me e i lettori rimane. Con altre parole: è bene chiedersi prima di tutto perché
si vuole scrivere, il resto viene dopo.
Intervista: Francesco Sansone
http://ilmondoespansodeiromanzigay.blogspot.it/2012/05/oltre-levidenza-racconti-di-vita-gay.html |
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