Le Interviste - Roberto Fustini - Esclusiva


Dopo avervi presentato il suo romanzo di debutto Il Macellaio - Un amore di mezzo, oggi vi presento lo scrittore Roberto Fustini che ci parlerà di come è nato il suo primo romanzo, ma anche del suo nuovissimo romanzo  La storia di Milli. Inoltre ci dirà la sua in merito alla questione sulle unioni civili in questo paese e  naturalmente ci parlerà di letteratura.
Io ve la consiglio perché mentre la realizzavo, ho trovato alcune risposte davvero interessanti e che danno il via alle riflessioni.

Le Interviste
Roberto Fustini
Esclusiva
Nella foto Roberto Fustini


Roberto era il 2008 quando hai debuttato con Il Macellaio – Un amore di mezzo. Che ricordi  hai di quel periodo?
Mi ero trasferito a Roma da pochi anni ed ero entrato in contatto con quello che sarebbe diventato il mio editore, FEFE’ EDITORE, a cui feci leggere alcune cose che avevo scritto. Mi disse che gli piaceva il mio stile, ed il coinvolgimento che suscitavano le mie storie. Per me è stato un momento importante perché finalmente ricevevo un parere autorevole da chi lavorava nell’editoria. Finalmente avevo un riscontro concreto in merito alle mie capacità.
Con la pubblicazione de Il Macellaio ho rotto il ghiaccio, ed ho realizzato un mio sogno. E’ anche iniziata una bella collaborazione con Fefè Editore, che spero continuerà a lungo.

Il romanzo, ambientato in un futuro prossimo, il 2016,  parla del rapporto fra due ragazzi che durante il sevizio militare diventano amici. Uno è gay, l’altro, invece, è etero. Col tempo, però, questo rapporto è destinato a cambiare, a trasformarsi non con pochi dubbi.  Come nasce la storia?
C’è all’origine di questa storia una specie di sogno, una speranza. E’ bello poter immaginare un incontro dove i sentimenti dei due protagonisti possano sbocciare e svilupparsi a prescindere da ciò che le convenzioni e il comune modo di pensare imporrebbero loro. Come se auspicassi ad una maniera poetica di vivere un approccio, e che questa poesia fosse alla portata di tutti, trasversalmente. E’ il desiderio che prima o poi le persone possano avvicinarsi le une alle altre, seguendo solo ed esclusivamente i propri sentimenti, in maniera pura e semplice, senza comportamenti dettati dalla vergogna o dall’ipocrisia che permeano troppo spesso la nostra vita. Gay, etero.. sono solo parole. Certo ognuno di noi ha una propria tendenza ad innamorarsi di persone appartenenti al proprio o all’altro sesso, ma il fatto è che questa dovrebbe essere sentita solo come un’indicazione del proprio cuore.

Il romanzo, come tu stesso mi hai detto, descrive un po’ come dovrebbero nascere i sentimenti fra due persone: liberamente. Secondo te , pur considerando che il paese è quello che giuridicamente, cosa frena la facilità nel lasciarsi andare ai sentimenti?
Le persone hanno paura di quello che pensano gli altri. Molto spesso questi timori trovano riscontro solo nel proprio intimo, a causa di quello che si percepisce nel quotidiano. La Chiesa dà certe indicazioni, del tutto discutibili, è vero,  e tutti pensano che le persone in generale seguano questi veri e propri diktat acriticamente. I mass media vanno spesso dietro a queste indicazioni, è vero, ma più per inerzia o per servilismo che per convinzione. In verità io ritengo che la maggior parte delle persone intorno a noi sia molto più disponibile a vedere realtà diverse da sé rispetto a ciò che si pensa, e ritengo anche che, vedendo che i sentimenti sono vissuti con sincerità e convinzione, le persone siano assolutamente possibiliste circa un mondo vario intorno a loro. Sicuramente un modello da seguire nel moderno convivere civile e nella reciproca accettazione e rispetto lo possiamo mutuare da certi paesi, nemmeno troppo lontani da noi, nei quali, senza essere affatto dei paradisi in terra, si vive serenamente la diversità in ogni sua forma. Penso alla Germania, la Francia, la Spagna, i paesi del nord Europa... l’elenco, purtroppo per noi, è molto lungo.

Nel tuo romanzo affronti anche il tema del riconoscimento delle coppie di fatto. Era il 2006 quando in Italia si parlava di questo tramite l’istituzione dei DICO, poi tutto si concluse con un nulla di fatto. Cosa credi non sia stato fatto all’epoca per portare a compimento questo passo? E soprattutto credi che in Italia, magari prima della data che hai usato tu per raccontare la storia di Luca e Federico, ci si possa nuovamente avvicinare a quella situazione?
La responsabilità degli scarsi se non nulli risultati ottenuti è quasi esclusivamente politica. E’ vero che l’associazionismo in Italia ha sempre dato risultati pessimi, a differenza di quello che accade nel mondo anglosassone, e che quindi la società civile e i suoi gruppi di riferimento non si sono mossi abbastanza per far sentire le loro voci. Non c’è un sano spirito corporativo, in Italia, una forza in grado di agire seriamente e continuativamente sulle richieste da avanzare al mondo politico. Il quale, comunque, vive nella propria bolla permeata dal timore di perdere consensi elettorali, facendo qualcosa di sbagliato. Strettamente connesso a ciò, quella che io vedo come vera e propria piaggeria nei confronti di un mondo vetero cattolico che ormai ha fatto il suo tempo – cosa della quale nessuno si è ancora accorto – gioca un ruolo fondamentale. Non ci si rende conto che la reale influenza della Chiesa sulle singole persone è diminuita notevolmente, la si sopravvaluta, e al tempo stesso il potere economico che essa esercita in diversi modi ricopre ancora un se pur meschino ruolo, assolutamente non secondario.

Da poco è uscito il tuo secondo romanzo La storia di Milli il quale è pure incentrato su un rapporto fra due persone diverse fra loro. Una è Milli, quella che potrebbe definirsi il personaggio positivo per eccellenza, l’altro è Germano, quello che, invece, può definirsi un personaggio negativo anche se a causa delle violenze subite da bambino.  Sbaglio o ti piace mettere in relazione personaggi completamente differenti fra loro per vedere come possono interagire fra loro e che tipo di ripercussione possano avere i comportamenti dell’uno sull’altro?
Mi piace attraversare mondi diversi, analizzare personaggi estremi, sperimentare realtà per me semi sconosciute, e anche, sì, far incontrare soggetti lontani fra loro. Nell’andare a fondo nell’intimo di ognuno di essi, si può cercare di capire le fasi e le cause di un certo sviluppo, di una certa trasformazione. E’ importante capire perché ognuno di noi è arrivato ad essere in un certo modo, a fare certe cose. Senza emettere alcun giudizio. Può essere anche affascinante, poi, scoprire cosa succede quando due caratteri così diversi si incontrano, cosa possa scaturire da questo, quali dinamiche psicologiche ciò possa portare. La narrativa, la fiction, sono il territorio della possibilità, ed ogni autore può immaginare, ipotizzare, creare uno sviluppo possibile. Quello che ne risulta, e la maniera in cui offre questo ai lettori, le emozioni che regala, sono il metro del suo successo.

Essendo questo il tuo secondo romanzo le emozioni sono le stesse del tuo debutto, oppure sono diverse, più controllate?
Sono molto felice di poter affermare che non esiste uno stallo o un raffreddamento delle mie emozioni, nel dedicarmi alla creazione di storie. E credo, spero che questo non accadrà mai. Da quando ho cominciato a scrivere, e a buttare giù appunti, idee per storie da scrivere, ho sempre goduto di una grande euforia. Mi butto a capofitto in quello che sto creando, mi lascio coinvolgere a 360° dai personaggi e dagli eventi che racconto, vivo quasi io stesso la storia, finché non è completa. Mi è perfino capitato di avere difficoltà a distinguere la mia realtà da quella che sto scrivendo. Leggo, rileggo, cambio e correggo, e questo mi dà un’intima e profonda soddisfazione. La storia più bella e coinvolgente è sempre quella che sto scrivendo, in quel momento. L’ultimo figlio è sempre il prediletto. Considerando la fase della pubblicazione, è ovviamente sempre un’emozione grande vedere la propria creatura prendere vita ‘ufficiale’ sulla carta stampata, andare incontro ai lettori ed essere fruita. Può naturalmente intimorire il fatto di non sapere come verrà considerata, i sentimenti che farà scaturire, le reazioni di chi la leggerà. Devo dire che una grande parte della gratificazione sta nel fatto che poi le persone mi parlino delle emozioni che la lettura ha fatto nascere in loro, quello che ci hanno visto – che molte volte non era previsto né programmato da me. E’ incredibile quanto le storie prendano una loro vita, indipendente dall’autore che le ha composte, e vivano poi nella mente di chi le fruisce, in maniera sempre diversa e personale. Questo lo trovo ugualmente molto affascinante.

Durante il periodo in cui stavi prendendo coscienza della tua omosessualità, c’è stato un libro a tematica che ti è stato d’aiuto e se sì perché?
Come credo molti omosessuali nel periodo in cui prendono lentamente consapevolezza di sé, quando i dubbi e le incertezze dominano, cercavo di continuo intorno a me testimonianze di ogni genere, racconti, prove che qualcuno viveva un genere di sentimenti simile ai miei, avevo fame di letture che parlassero di questo tema. Penso che sia normale, soprattutto in una società che – in particolar modo venti o trenta anni fa – non lasciava trapelare informazione e comunicazione in questo senso. E’ triste pensare che molti adolescenti sono abbandonati a se stessi nel capire certe cose, rischiando pure che nascano fraintendimenti e visioni distorte della realtà. Con tutto quello che ciò può comportare. Mi sono avvicinato alla letteratura a tematica omosessuale su più fronti, dai classici come Forster e Wilde alla poetica più estrema di Genet e Busi. Credo di aver tralasciato ben poco, non so se perché – con una certa lungimiranza – capivo che per formare una propria consapevolezza fosse giusto avere una panoramica più completa possibile, o perché semplicemente ero già animato dalla stessa inesauribile curiosità che ancora oggi mi caratterizza. Tutto mi è stato d’aiuto, proprio perché ho potuto sondare vari universi, modi differenti di vivere i sentimenti, e la molteplicità delle possibilità trovo che sia una vera e propria ricchezza.

Quando hai capito che la scrittura era una parte fondamentale di te?
Credo di aver capito che mi piaceva scrivere e raccontare quasi prima di cominciare a scrivere e leggere. Leggere mi è sempre piaciuto moltissimo, in grande quantità, e varietà, e questo credo sia fondamentale per un bravo scrittore. Un altro passo verso quello che sono ora è stata la scoperta della comunicazione verbale. Raccontare, inventare, intrattenere le persone, vedere quanto siano affascinate e divertite da questo, quanto la scelta di certe parole sia importante, quanto creare storie ed emozionare possa essere bello e appagante: questo sicuramente è stato un ottimo stimolo per me. Ho cominciato a comporre di tutto: racconti, poesie, all’inizio in maniera frammentaria e saltuaria. Poi quando ho cominciato ad organizzare e gestire i miei componimenti in maniera più sistematica, l’esaltazione è aumentata. L’intima gioia di comporre, di rileggere qualcosa di mio e provarne soddisfazione, l’eccitazione nel cominciare una nuova avventura creativa: tutto ciò me ne ha dato la definitiva conferma. Forse si può parlare di un doppio godimento: quello relativo ad un certo narcisismo e quello relativo invece ad un vero e proprio altruismo.

Che consiglio daresti a coloro che vogliono intraprendere il tuo stesso cammino?
Bisogna leggere tantissimo, di tutto. Dai giornali a libri di qualsiasi genere, di continuo. Io trovo auspicabile anche che chi vuole scrivere debba essere curioso, e quindi affamato di realtà più o meno vicino a sé. Dovrebbe essere sempre animato da una certa tensione scientifica per le persone e le cose che lo circondano. Un sano terreno fertile può essere nutrito dai viaggi, dai molteplici interessi, il fruire vari tipi di arte, parlare con le persone e cercare di entrare nel loro mondo. Lasciar perdere qualsiasi pregiudizio e osservare, lasciarsi affascinare. Coltivare una mente sempre viva e aperta. Infine bisogna cominciare a scrivere. La scrittura è come uno sport, più lo pratichi, meglio riesce. All’inizio è possibile che ci si senta fuori forma, capita di rimanere immobile, quasi raggelato di fronte alla pagina bianca (o meglio alla videata vuota del pc), ma la soluzione è semplice. Si deve cominciare a scrivere qualsiasi cosa. Cosa ho fatto ieri, la lista della spesa, un resoconto delle ultime vacanze.  E poi, lentamente, tutto comincia ad andare da sé. Si acquista sicurezza e scioltezza. E se si ha qualcosa da raccontare, ci si lascia prendere la mano ed il cuore, senza quasi accorgersi ci si trova nel flusso di pensieri che regala cose preziose. Scrivere, scrivere, scrivere. Onestà in quello che si scrive, mai tradire se stessi, tanto poi questo viene fuori. Infine cercare di contattare gli editori, e sperare, con tanta pazienza, che qualcuno apprezzi la propria poetica.

Intervista: Francesco Sansone