Intervista a Salvatore Savasta: “Quando cresci in una famiglia cristiana, essere gay significa essere il male.”

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A cura di Francesco Sansone
Grafica blog di Giovanni Trapani

Qualche mese fa vi ho parlato di due dei volumi che compongono la saga "Io sono gay", pubblicata in maniera indipendente da Salvatore Savasta. Oggi vi propongo l’intervista che il giovane autore ha rilasciato a Il mondo espanso dei romanzi gay, in cui analizza alcuni aspetti dei suoi lavori.

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D. Nella tua trilogia racconti il percorso di crescita e affermazione di Andrew. So che è una storia ispirata a una storia vera, cosa ti ha spinto a scriverla?
R. Rimanere inerme, ai piedi di un letto d’ospedale, guardando il protagonista lottare tra la vita e la morte per aver tentato il suicidio. Mi ero convinto che fosse a causa dell’omofobia della società, ma quando ho scoperto che il problema era la difficoltà di Andrew nell’accettare se stesso, ho pensato che il mondo dovesse sapere che, talvolta, il primo vero omofobo è colui che si scopre omosessuale.

D. Nel primo volume della saga il tuo protagonista è molto duro con i suoi “genitori”, definendoli degli stupidi perché non si sono resi conto di chi fosse realmente. Ti chiedo: un genitore è tenuto a conoscere per davvero un figlio?
R. No. Sono convinto che quello che il protagonista attua nei confronti dei suoi genitori sia solo una valvola di sfogo. Odia sé stesso e i suoi genitori sono quanto di più simile a sé stesso egli conosca. Non accettarsi come individuo porta a dei conflitti interiori ed esteriori che sembrano insensati se non per colui che prova sentimenti così contrastanti dentro di sé. Sono convinto che l’unico ruolo che abbia il genitore, e lo dico da padre, sia quello di prepararti al mondo e di fartelo conoscere. Il modo in cui reagisci a esso e ciò che sei non dipende dal genitore che, sempre più spesso, è completamente ignaro di chi sia davvero il proprio figlio.

D. Affronti anche un’altra tematica interessante, ossia quella dell’omofobia interiorizzata nei gay stessi. Da cosa nasce, secondo te, questa avversione?
R. Quando cresci in una famiglia particolarmente legata ai valori cristiani, essere gay significa essere il male. Cominci a fare una serie di considerazioni. Comprendi di essere diverso, in qualche modo sbagliato persino ai tuoi occhi. Sei sufficientemente conscio e intelligente da accorgerti che c’è qualcosa che in te non sta funzionando bene (nel senso che alla parola  “bene” dà la società in cui vivi). Probabilmente capitava la stessa cosa agli albini di qualche decennio fa o alle donne accusate di stregoneria perché rosse di capelli nel ‘600. Sai che ciò che sei non è accettato all’unanimità, quindi o lotti contro tutti per far valere i tuoi diritti o ti ritrovi a pensarla come chi si accanisce contro di te, in una sorta di rapporto di odi et amo con te stesso.

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D. Nel secondo volume affronti l’aspetto dell’evoluzione di una coppia. Dopo anni passati assieme Andrew e il suo compagno sono cresciuti e cambiati, questo li porta a scoprire nuovi desideri e pulsioni. Non credi che in una coppia ci possa essere una comune e complice evoluzione?
R. Assolutamente sì. Si può crescere insieme e ci si può evolvere, insieme, in qualcos’altro. Tutte le coppie vivono un momento in cui la frivola passione lascia il posto alla routine, ma in quel caso l’amore fa da collante necessario a mantenere vivo e saldo il rapporto. Nel caso di Andrew e Francesco non c’era amore di base, ma solo passione. Non potrebbe essere altrimenti visto che bastano pochi giorni di distanza per invaghirsi di altri personaggi. La distanza rafforza l’amore e distrugge i rapporti basati sulla reciproca stima e passione.

D. Palermo fa da sfondo alla tua storia. Com’è scoprirsi e accettarsi omosessuali nel capoluogo siculo?
R. Difficile. Siamo la città con il più alto numero di esorcisti in Italia. Se nostro figlio soffre di convulsioni chiamiamo il sacerdote e pensiamo alla possessione prima che a una malattia. Crediamo nei miracoli, nelle madonne di ogni dove. Un omosessuale è solo una persona che ha smarrito la retta via, che deve essere riportato in chiesa, che deve essere esorcizzato o miracolato. È una piaga per la famiglia, una punizione divina. Scoprirsi gay, quando tuo padre ti urla che lui ti ha creato perfetto e senza malattie, diventa davvero una condizione difficile da sopportare. Per questo ancora oggi mi batto, con diverse associazioni locali, per far comprendere che gli isterismi delle “checche” televisive non rappresentano il mondo LGBT, ma ne sono la caricatura. Un etero non deve dare spiegazioni se ha un erezione davanti a un seno. L’obiettivo è fare in modo che un omosessuale possa smettere di dovere spiegazioni se bacia il proprio uomo in una pubblica piazza.

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D. Mi permetto di dissentire parzialmente con quanto detto. Da uomo che si è "scoperto" gay nella Palermo del 2001, posso dire che non tutti i percorsi di accettazione sono difficili come hai appena detto. Certo, ci sono casi limiti che devono essere raccontati affinché non si ripetano più, ma questi non avvengono solo nel capoluogo siciliano. Le situazioni che citi possono, purtroppo, verificarsi in ogni parte del Paese e del mondo intero. Ci tengo a precisarlo perché altrimenti passerebbe un messaggio non del tutto veritiero e preciso. 
Torniamo alla tua saga: Quale aspetto ti è stato più difficile trasportare nel romanzo e perché?
R. Riuscire a descrivere un uomo che pur rimanendo tale fosse gay. Avevo il terrore di descriverlo eccessivamente sentimentale o troppo poco sensibile. Trovare il modo per far comprendere che la sessualità è qualcosa di privato, a qualunque livello, è stata la cosa più complessa.

D. Per concludere, che  cosa vorresti rimanesse del tuo lavoro al lettore?
S. Vorrei fosse chiaro che se amo un uomo o una donna, il mio valore come essere umano pensante non può e non deve cambiare agli occhi del mondo. Se sono un idiota lo sono a prescindere, così come è vero il contrario: se sono un genio lo sono anche se preferisco il pene alla vagina. Il sesso è qualcosa che esula dalla mia personalità. Non sono Salvatore lo scrittore pansessuale, sono Salvatore lo scrittore. Quando si potrà parlare di una persona senza che le sue preferenze sessuali siano inserite come una sorta di soprannome, avremo vinto la nostra battaglia.

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