«Che senso ha volere un figlio, dargli la vita, se poi gli si nega la libertà di vivere.» - Intervista allo scrittore Paolo Ciufici

A cura di Francesco Sansone
Grafica di Giovanni Trapani
Del suo romanzo, Ga(y)o, vi ho parlato ieri e oggi sono pronto a farvi conoscere Paolo Ciufici attraverso un'intervista che non lascia nulla al caso e che vi darà modo di conoscerlo meglio, ma soprattutto vi darà modo di scoprire alcuni particolari del libro. 

Prima di lasciarvi al mio incontro con Paolo Ciufici, permettetemi di ringraziare voi, cari lettori de Il mondo espanso dei romanzi gay. E il motivo è presto detto. Quando credo fortemente in un "giovane" autore e nel suo romanzo, come in questo caso - ma mi vengono in mente anche Vincenzo Restivo, Edoardo B. Francesco Mastinu e Pierpaolo Mandetta, giusto per fare qualche nome -, sono felice che questo arrivi anche a voi.  Non è soltanto una questione di numeri o visualizzazioni, no, sebbene siano alti. 
Non credo di cadere nell'auto celebrazione nel dire che questo blog, nel tempo, è diventato una garanzia per coloro che cercano prodotti di qualità e i risultati raggiunti da alcuni romanzi nel tempo - e non solo al momento della pubblicazione - lo dimostrano. E personalmente ne sono orgoglioso. Così come sono orgoglioso di riconoscere il valore di un autore e fornirgli una delle prime vetrine - se non la prima in assoluto - per farsi conoscere e poi fargli "spiccare il volo" e raggiungere il successo meritato. 

Pertanto vi ringrazio per continuare a scegliere Il mondo espanso dei romanzi gay, permettendomi di dare sempre più spazio ad autori e romanzi meritevoli.

Bene, detto questo, vi lascio alla mia chiacchierata con Paolo Ciufici, certo che ne saprete cogliere la sensibilità e il talento.

RIMANI SEMPRE AGGIORNATO. ISCRIVITI ALLA NUOVA PAGINA FACEBOOK

D. Ga(y)o,  il tuo romanzo, ripercorre la vita di Gaio dall’infanzia fino all’età adulta. Come è nata l’idea di tracciare questo percorso di vita?
R. In realtà, non ho scelto all’inizio della stesura del testo di seguire Gaio fino alla sua piena maturità anagrafica. Ho iniziato dall’infanzia e dall’adolescenza, età che potevo argomentare attingendo alla fonte delle mie sensazioni, e che volevo argomentare per ribadire che omosessuali non ci si diventa, ma ci si nasce.

D. Cosa ti ha spinto ad andare oltre?
R.  Mi sono incuriosito io stesso, mi sono detto: “Ma chissà come sarà Gaio a trent’anni, poi a quaranta, cinquanta fino ad arrivare ai sessanta?”. E così ho intrapreso il suo percorso di vita. E ho capito di aver iniziato un bel viaggio, un viaggio verso l’evoluzione di un’esistenza umana. Ho capito che volevo accompagnare alla maturità anagrafica del protagonista, la sua maturità affettiva, e descrivere come il suo amore giovanile per Tom, potesse progredire verso un sentimento fortificato da entrambi e fortificante per entrambi. Un sentimento da cui ricominciare ogni volta.
Continua sotto...


D. La storia traccia anche un altro percorso, quello dell’Italia. Si inizia che siamo a metà del 1900 per arrivare ai giorni nostri. Come è stato per te confrontarti con una realtà, per alcuni aspetti, lontana da quella vissuta da te?
R. Non è stato facile sicuramente. Infatti temevo sempre di affermare qualcosa di non corretto o non corrispondente alla realtà.  La scelta del periodo dell’infanzia di Gaio è stata dettata dalla volontà narrativa di raccontare una considerazione sociale buia, medioevale per alcuni versi, dell’omosessualità,  ancora vigente nella seconda metà del Novecento. Volevo dar voce, con la penna, alle urla di tutte quelle persone che per paura di essere violentemente discriminate, se non  recluse, internate in manicomi, con la stessa violenza contro se stessi reprimevano le proprie pulsioni; e anche alle urla di quelle persone che si dichiaravano, come nel caso di Gaio, e che pertanto subivano una duratura tortura psicologica, per non dire fisica; quasi l’omosessualità fosse la perdita di un gioco, il gioco della vita, e bisognasse pagare costantemente pegno. Mio malgrado devo constatare che attualmente le cose non vadano meglio; sono leggermente migliorate, sì, ma c’è ancora tanto da fare, dire, e scrivere.

D. Uno degli aspetti che mi è piaciuto molto del romanzo è stato vedere come il personaggio di Gaio cambia nei corsi degli anni. Da ragazzo timido e introverso a uomo affermato che non ha vergogna di se stesso. Ti sei ispirato a qualcuno per tracciarne il profilo?
R. Mi sono ispirato a tanti Gaio; tutti quelli che ho avuto il piacere e l’onore d’incontrare nella mia vita. Da conoscenti a amici sinceri di lunga data. Gaio è un ibrido di tante belle persone abbracciate, ascoltate e da cui io stesso sono stato abbracciato e ascoltato. Persone che non hanno rinnegato il proprio orientamento sessuale.

D. E il tuo percorso di crescita come è stato? In Gaio possiamo riscontrare un po’ di te?
R. Gaio è sicuramente il figlio che porta il mio corredo di sensazioni, immagini, esperienze, storie; ricollegandomi a quanto detto prima, ci sono molte persone, molte storie che hanno ispirato Gaio e l’intero Ga(y)o. Non è un romanzo autobiografico, ma io ci sono nel romanzo. C’è  il rapporto con la letteratura come amica, c’è la bellezza di condividere gioie e dolori con l’amica di sempre, c’è la gioia di amare un uomo.  Il mio percorso di crescita è stato non semplice. Per carità io ho una famiglia meravigliosa, che mi ha sempre supportato e ha sempre creduto in me. E continua a farlo. Sono stato io a non voler vivere sin dalle prime pulsioni sessuali la mia omosessualità con la mia famiglia, e con il mio mondo familiare, fatto di amici. Non che mi fosse stato proibito parlarne. Per mia indole, me la tenevo per me, come fosse la mia stanza, la mia aria. Era una “cosa” per me l’omosessualità, non sapevo definirla, non la riscontravo nei miei amici di scuola, in mio fratello, nei miei parenti; come potevo parlarne, se si trattava di qualcosa di nuovo, di ignoto a me stesso? Più ci stavo in quella stanza, più respiravo quell’aria, più capivo chi ero veramente. Poi crescendo, leggendo, studiando, viaggiando, quella “cosa” è diventata la mia omosessualità, l’ho nominata e ne ho parlato tranquillamente.
  Continua sotto...


D. A fronte di quanto hai appena detto,  perché sostieni che il tuo non è stato un percorso semplice?
R. Perché nonostante io non sapessi nominare la mia omosessualità, molte persone la nominavano per me, magari ricorrendo a un lessico poco diplomatico, diciamo così. Io ora ci rido, ma molte persone non hanno la stessa attitudine, e per quel lessico poco diplomatico distruggono la propria vita.

D. Nel romanzo un ruolo importante ce l’ha il rapporto fra il protagonista e la madre, l’unica in grado di accettare la sua omosessualità e le sue scelte in generale. Credi che l’appoggio di un genitore sia fondamentale per un omosessuale per non farsi sopraffare da una società sempre pronta a stigmatizzare l’essere gay?
R. Come può un genitore non appoggiare un figlio? Ahimè è ancora qualcosa di sconvolgente, molti genitori non accettano l’omosessualità dei proprio figli. È un dato di fatto. Soprattutto quando i figli dichiarano di essere omosessuali in età complesse, delicate, come la prima adolescenza, come si può non appoggiarli?! C’è qualcosa che non va. Credo di non dire nulla di eccezionale, affermando che la famiglia ha un ruolo fondamentale. Che senso ha volere un figlio, dargli la vita, se poi gli si nega la libertà di vivere. La famiglia deve supportare, sostenere, educare, condurre fuori dai complessi, dalle paure, dalle insicurezze. Per capire l’omosessualità di un figlio, se proprio bisogna capirla, un genitore deve tendere la mano, e ascoltare. Il figlio altresì, quando si sente pronto, deve condurre il proprio genitore dentro il suo mondo, senza vergogna e paura.
Continua sotto...


D. Ci parli un po’ del tuo rapporto con tua madre? Ti sei ispirato a questo per descrivere quello fra i tuoi personaggi?
R. Mia madre è bella e intelligente. Saggia e sensibile. E potrei continuare per ore. Ovviamente adoro mia madre. Riesce sempre a consolarmi, a darmi il giusto consiglio, al momento giusto e nel modo giusto. È una dote la maternità. Ho un rapporto schietto con lei, senza giri di parole, anzi a volte le parole proprio non servono. In questo Ga(y)o ha molto di mia mamma. Rachele, la madre di Gaio, ha il fascino della donna fragile, poco considerata dal marito, eterna sognatrice di un amore gentile, poetico, serafico, che Luca, il consorte, non le darà; ciononostante, lei continuerà a stargli accanto. La differenza è che mia madre è stata molto amata da mio padre.

D. Da qualche mese anche le coppie omosessuali possono unirsi civilmente e veder riconosciuto il loro amore dallo stato. Ci dici la tua opinione in merito alla legge?
R. Dico finalmente una legge che legittima l’unione tra persone dello stesso sesso. Dico anche, e non aggiungo niente di nuovo, che si tratta di una legge che necessita di maturare e migliorare. Quel non diritto alla fedeltà mi sta talmente sullo stomaco, per non dire altro! Insomma, nella legge così com’è, c’è ancora una distinzione ben marcata  tra l’amore omosessuale e l’amore eterosessuale. Quindi che non si parli di pari opportunità. Poi c’è la questione della famosa stepchild adoption, che non è stata ammessa, e anche questa non ammissione mi sta sullo stomaco, per non dire altro. Credo che questa legge rappresenti la confusione che le tematiche LGBT continuano a provocare in Italia.

D. La legge Cirinnà arriva dopo 30 anni dalla prima volta che l’Italia ha affrontato la questione delle unioni gay in parlamento. Molte persone, però, sono morte in loro attesa, sebbene si siano battute per ottenerle. Come ti spieghi questo ritardo giuridico? Si può dare davvero solo la colpa alla presenza del Vaticano?
R. Il ritardo giuridico è per quello che ho detto prima, per il medioevo che incombe sul tema omosessualità e non solo. L’estremizzazione politica poi dei ruoli, del maschio e della femmina, specie nel corso del Fascismo, ha creato un abisso, uno squarcio nel concetto di identità di genere, di appartenenza a un genere; la Chiesa ha detto anche la sua, e basti pensare ai passi del Catechismo in cui si parla di omosessualità come disordine e all’omosessuale come soggetto verso cui provare compassione.  Il problema è culturale in Italia, quindi non riguarda solo la sfera religiosa.

D. Torniamo al romanzo. Usi una scrittura ricercata per una struttura narrativa diretta, priva di fronzoli e a tratti essenziale. In un momento in cui i romanzi appartenenti alla letteratura omosessuale soffrono i giudizi negativi di chi legge soltanto un certo tipo di letteratura di importazione, pensi che il tuo Ga(y)o possa subire le stesse stroncature di cui sono stati “vittima” altri romanzi del genere?
R. Oddio spero di no. Ma non perché il mio romanzo sia il romanzo di letteratura omosessuale del momento. Magari non piacerà a qualcuno, ma questo per qualsiasi opera e qualsiasi forma d’arte; io ho cercato di raccontare una storia, che è la storia di molti, e soprattutto una storia italiana; credo che noi italiani vantiamo una letteratura omosessuale di grande valore narrativo e sociale, che non ha nulla da invidiare a quella internazionale, basti pensare a Tondelli, Siti, Busi, Pasolini, e già ho la pelle d’oca. Ho scritto questo romanzo per i giovani, per le loro famiglie, per le loro scuole, perché si possa parlare incondizionatamente di amore.
  Continua sotto...

D. Per concludere, cosa speri resti nel lettore della storia di Gaio?
R. Ga(y)o è un percorso. Un percorso verso la felicità, la gaiezza appunto. Un percorso fatto di soste, per poi ripartire. In Gaio e Tom, i due protagonisti, ogni sosta è conoscenza, di se stessi, degli altri, della realtà. Ogni sosta viene effettuata a un’età diversa e dura un attimo, o un giorno, o un mese, o uno o più anni. Ogni sosta diviene stupore, sorpresa, incredulità, meraviglia, leggerezza, pesantezza, ironia, sarcasmo. Sia che la sosta dia gioia o lasci amarezza, loro sentono la necessità di riprendere a camminare, di conoscere. Ga(y)o è un moto. La regolarità di questo percorso a cielo aperto, è la voglia di vivere. Gaio e Tom vivono ogni sosta e ogni ripartenza, per questo conosceranno la felicità. La loro omosessualità è soltanto la strada del tragitto. Il lettore attraversando le parole avrà la possibilità di camminare a loro fianco.
RIMANI SEMPRE AGGIORNATO. ISCRIVITI ALLA NUOVA PAGINA FACEBOOK