Week end monotematico: Martin Milk - L'intervista

Le interviste 
  Martin Milk

Nella foto: Martin Milk
Martin torni sul mercato e per la prima volta con un romanzo e non con un’antologia di racconti. Cosa ti ha spinto a cimentarti in questo progetto e dare vita a La legge del desiderio?
Sono stato travolto dal bisogno di raccontare questa storia. Anche per me è stata un’esperienza unica, perché di fatto ho sempre scritto brevi racconti dove i miei orsi o i miei amanti si incontravano nelle situazioni più disparate e si consumavano nella passione di un solo attimo prima di tornare alle loro vite di sempre. Con La legge del desiderio invece ho avuto la folgorazione di qualcosa che non trattasse del qui e ora ma che si dimensionava in profondità. Nel tempo. Che non si esaurisse in un solo atto ma che invece fosse concatenata di tanti atti, anche di differente natura. Una bella avventura, anche se molto faticosa per il lavorio personale che ho dovuto mettere in campo nel costruire la trama di un romanzo.

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Lo stile, però, è lo stesso di sempre. Il romanzo, infatti, è diviso in capitoli che richiamano un po’ alla narrazione breve. Semplice scelta narrativa o una voglia di rimandare allo stile usato fino a ora?
Per me scrivere significa affrescare una serie di situazioni, come dei quadri che possono essere più o meno collegati tra loro. Per cui, anche nella stesura del romanzo, ho cercato di non perdere questa tendenza, per sentirlo più mio. Ho solo dovuto assemblare una cornice più ampia e ricamarci intorno i miei quadri, le mie scene, in consecuzione. Spero che il risultato sia stato comunque coerente nel suo insieme.

Soffermiamoci sulla storia; il romanzo racconta il turbine di sesso e passione che si instaura fra il ventenne Mario e il quarantenne Don Gianni. La storia scoperchia un vaso di Pandora, quello del sesso praticato dai prelati, mai chiuso del tutto. Perché hai scelto proprio questo aspetto?
Mentirei se non confessassi che in qualche modo è una realtà che conosco. E ti ringrazio per non avermi chiesto, come hanno fatto finora, se si tratta di un’esperienza personale. A prescindere dallo studio empirico e dai dati che ho consultato in merito leggendo anche molti saggi su sesso e Chiesa, credo che i tempi fossero maturi per scoperchiare questo vaso e tirare fuori una storia che mostrasse ai lettori che a volte chi giudica farebbe meglio in primo luogo a essere onesto con se stesso. In un momento delicato come questo, dove il resto del mondo adegua la sua accettazione verso le diversità, i cittadini sono bombardati di moniti e di azioni a volte anche dai risvolti violenti, dove le autorità religiose tendono a voler orientare la coscienza civile e la morale in merito ai temi civili. Ecco, volevo mettere in luce le contraddizioni in merito a chi, a volte, cerca di imporre agli altri un’idea quando poi nel suo privato non solo si comporta diversamente, ma lo fa in modo a volte opposto a quello che predica. La legge del desiderio infatti non si incardina in un ambito puramente omoerotico, ma diventa anche un noir e soprattutto un atto di denuncia verso chi vuole opprimere gli altri. D’altronde, non era proprio Gesù ad aver detto che “Chi è senza peccato… scagli la prima pietra?” Io ora chiedo: a volte siamo sicuri che chi la scaglia in merito a certe tematiche, abbia ragione per farlo?

Don Gianni farà scoprire a Mario i piaceri del sesso e della perversione, eppure pretende che il giovane si costruisca ugualmente una famiglia sposando una donna. A questo punto non posso non chiederti un parere su una realtà, quella dei preti che hanno relazioni sessuali, che da sempre è risaputa, ma che tutti fanno finta di non vedere.
Beh nella fase di acquisizione delle informazioni e della documentazione non ho solo scoperto che i preti hanno vita sessuale, ma che spesso sono consapevoli e in qualche modo si giustificano per quello che compiono. Un po’ come la differenza tra castità e celibato, che a volte diviene anche determinante per chiudere un occhio (se non due) sulle pratiche sessuale dei ministri di culto. Io penso che alla fine i preti che davvero ci dicono chi dobbiamo amare, quando dobbiamo avere rapporti sessuali e a che serve averli, ingannino soprattutto loro stessi. Non tanto i fedeli. Perché vivono una vita di facciata, uno stress emotivo non indifferente. Io sono uno di quelli che ritiene che i ministri di culto dovrebbero avere, come tutti gli altri, una vita sentimentale aperta e soddisfacente, come succede per alcune branche protestanti. A parte che alla fine così riuscirebbero a parlare di questioni morali e di vita dei loro fedeli con cognizione di causa. E forse riuscirebbero in questo senso a essere esaustivi, maggiormente centrati sulla realtà. A volte basta ascoltarli e conoscere un po’ di mondo reale per stanare il loro dogmatismo spesso cieco e poco aderente con la realtà dei fatti.

Eppure i primi a puntare il dito contro gli omosessuali sono proprio i preti che ogni giorno dicono peste e corna pur di sminuire i legami fra persone LGBT. Anche nel romanzo appare questo aspetto proprio nelle parole di Don Gianni che reputa i rapporti affettivi fra uomini contro natura. Secondo te si tratta di contraddizione o semplicemente di tenere due piedi in una scarpa?
Un tempo dicevo a gran voce che uno dei motivi per cui i gay sono così malvisti e stigmatizzati dalla chiesa cattolica, è che il processo di liberalizzazione e di accettazione degli orientamenti sessuali si traduce in un crollo delle vocazioni. Quel tempo mi dissero di essere più che mai blasfemo. Oggi ho smesso di dirlo, non di pensarlo.
Rendo l’idea?
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Io non credo né che si tratti di comodo né che sia solo un atteggiamento contraddittorio, secondo me è proprio un modello di vita che sopravvive nel mezzo di questi due estremi. Ho conosciuto religiosi che a gran voce inneggiavano contro l’omosessualità dal pulpito che poi amavano alla follia i loro compagni, una volta dismesso il talare da cerimonia. Da un lato devono mantenere fede ai loro principi che gli sono stati impartiti, dall’altro invece devono rispondere ai loro bisogni umani che spesso, proprio per il senso di colpa, diventano delle ossessioni. Come per tutti gli esseri umani. Perché a volte ci scordiamo che i preti sono umani come me, come te. E ogni essere umano si sperimenta e si costruisce una sua morale per fare i conti con i contrasti della sua vita e delle sue scelte. Quindi sì, magari tengono i piedi su due staffe ma a lungo andare si convincono anche che la contraddizione tra quel che vivono di nascosto e al buio, magari per sfogare la loro natura e ciò che dicono pubblicamente, sia l’unica via morale possibile per poter vivere su questa terra.

Il romanzo, come tutte le tue opere, è altamente erotico e non si discosta dalla tua produzione precedente. Quali caratteriste deve avere per te un testo erotico per essere credibile ed essere definito tale?
Deve riuscire a coinvolgere senza scadere nell’esplicito. Nel senso che poi sì, ci può essere anche il momento in cui descrivi minuziosamente l’atto, ma succede quando ormai il lettore è già stato rapito dall’atmosfera che hai creato nel momento stesso in cui espliciti i desideri con i preliminari della tua narrazione. Studio, studio e studio, perché i rapporti, le pose e il sesso, anche se appartiene al quotidiano, se non è ben calibrato (e posseduto concettualmente) rischia di cadere nei tranelli dell’imprecisione e diventa ridicolo nella lettura. Non deve essere volgare, mai, anche nelle scene più crude. Il lettore non deve accendersi sull’atto visivo (perché si trasformerebbe in porno) ma deve farlo già dalle cose che non dici esplicitamente.

Nuovo progetto e nuova casa editrice, la Amarganta edizioni. Per concludere ti chiedo come nasce la collaborazione con questa editrice e come ti sei trovato a lavorare con Francesco Mastinu, responsabile della sezione LGBT?

Diciamo che è un rapporto iniziato dallo stupore, perché non pensavo che questa storia potesse avere un esito editoriale. Invece sono stato contattato, ho mandato un frammento e, appena concluso, mi hanno chiesto l’intero progetto, con entusiasmo. Per la prima volta, tra l’altro, ho la possibilità di vedere un mio libro stampato, ed è un’emozione niente male, confesso. Per il resto, il lavoro con gli editori è sempre in divenire, in un continuo scambio reciproco. Non posso che esprimere, al momento, un parere assolutamente positivo sullo staff dell’editore e sul modo con cui perseguono insieme all’autore gli obiettivi comuni. 
Intervista: Francesco Sansone

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