Ieri avete conosciuto il suo romanzo La sindrome, oggi, invece, per concludere questo week end monotematico, potrete scoprire qualcosa in più su di lui, Andrea Panza.
Prima di salutarvi, vi anticipo che, settimana prossima, l'appuntamento con Il mondo espanso dei romanzi gay sarà solo per sabato 19 Aprile.
Le interviste
Andrea Panza
Esclusiva
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Nella foto: Andrea Panza |
La sindrome racconta, seguendo un doppio binario temporale, il
percorso di crescita e la conseguente età adulta del protagonista. Come nasce
la storia e quanto tempo hai impiegato nello scriverla?
Piccola
premessa. Ho sempre un po’ di difficoltà a pensare a La sindrome come a una “storia”. Chi dovesse leggerla si troverà di
fronte a un protagonista senza nome e a un ordine dei capitoli non cronologico,
continuamente interrotto, scandito da un tempo “psicologico” in cui flashback e
proiezioni nel futuro complicano deliberatamente l’identificazione del corso
degli eventi. L’idea che volevo trasferire al lettore era infatti quella,
abbastanza comune nella vita odierna, di un percorso di crescita non evolutivo.
Più che di fronte a una “storia”, il lettore è catapultato in una
stratificazione di esperienze, alcune delle quali poco edificanti, che si innestano
su un quadro “clinico”, quello della misteriosa “sindrome”, di cui il
protagonista si sente affetto, “sindrome” che è l’unico vero trait d’union tra le
vicende raccontate.
Tornando
alla tua domanda, l’idea di scrivere questa “non-storia” è maturata in un
periodo di mia profonda curiosità per le teorie della psicologia della Gestalt.
In particolare, in un momento non particolarmente felice
dal punto di vista affettivo, mi aveva colpito l’idea secondo cui le cause di
insoddisfazione del nostro quotidiano si rifacciano sempre a vicende del nostro
passato rimaste, per così dire, inconcluse. Da qui la necessità di ripercorrere
in parallelo presente e passato di un personaggio per certi versi simile a me, e
di portare avanti questa sorta di riflessione introspettiva per iscritto, un
processo durato all’incirca 10 mesi di lavoro quotidiano e frutto di continui
ripensamenti e profonde riscritture di capitoli. Ritengo, a questo proposito,
che la scrittura de La sindrome sia
stata un’esperienza molto utile, che mi ha di fatto portato a individuare (oserei
dire ad autodiagnosticarmi) quella vena di narcisismo che probabilmente (e non
sempre felicemente) mi accomuna a diversi miei coetanei e “fratelli di
condizione”. Credo sia proprio questo narcisismo di fondo “la sindrome” del
titolo, che mi ha portato un paio d’anni fa a scattare questa selfie ante litteram, seppur “letteraria”
(tra virgolette) e non fotografica.