Week end monotematico: Francesca Masante - L'intervista
Si conclude questo week end monotematico dedicato nuovamente a Francesca Masante.
Prima di lasciarvi all'intervista di oggi, ci tengo a scusarmi con l'autrice anche pubblicamente per non esser stato puntuale come sempre per realizzare questo nostro nuovo appuntamento. Lei sa il perché, ma ci tenevo ugualmente a ringraziarla per la sua disponibilità e a scusarmi come si deve. Oltre a essere un'artista con la A maiuscuola, è una donna gentile, autentica e soprattutto umile.
Le Interviste
Francesca Masante
Esclusiva
Nella foto: Francesca Masante |
Francesca, Altrove è un noir a tutti gli effetti. Come nasce la storia e
quanto tempo ti ha rubato la sua stesura?
Durante l’estate del 2003 ero in
campagna, vicino a Torino. Per una serie di ragioni familiari e di tristi
casualità, mio marito aveva dovuto trattenersi in città. Mi ero trovata così da
sola con i miei bambini di due anni che esploravano con incosciente e
inesauribile vivacità il giardino attorno alla casa. Nel corso di quell’estate
così calda, i giornali riportavano con cadenza periodica notizie di terribili
incidenti occorsi ai bambini e di infanticidi. Ricordo l’orrore stupefatto con
cui li leggevo. Guardavo i miei bambini e sentivo tutta l’intensità della mia
tenerezza per loro. Com’era possibile per una madre non desiderare di
proteggere e salvaguardare in ogni possibile modo l’incolumità dei propri
bambini? La genesi di questo romanzo, che avrei materialmente scritto solo
molti anni dopo, durante l’inverno e la primavera del 2008, è nata nel corso di
quelle lunghe ore di riflessione e solitudine. Sulla scia dell’orrore e della
repulsione per quei delitti orrendi, delitti che percorrono tutta la storia
dell’umanità, dal mito della Medea di Euripide al caso mediatico di Cogne, mi
sono interrogata sul significato che la maternità assumeva per me, nella
concretezza della mia esistenza quotidiana, e sulle implicazioni culturali,
psicologiche ed etiche di un ruolo così rilevante.
A differenza di Sul lato oscuro della luna, dove alla
fine il protagonista riesce a ritrovare se stesso e quindi a uscire vittorioso,
qui tutti i personaggi coinvolti, in un modo o nel l’altro, perdono tutti
qualcosa. Perché questa decisione?
Hai ragione nel dire che in
questa storia non vince nessuno. Il senso della perdita pervade in effetti
tutto il romanzo in cui si intrecciano, sino allo scioglimento finale, tre
differenti percorsi: quello di Luigi, quello di Anna e quello di Sergio. Per
Luigi, già segnato nell’adolescenza dalla scoperta dell’adulterio materno, la
conoscenza di una donna complessa e ferita come Anna si trasforma in una
sofferta presa di coscienza di se stesso. Per lui vivere accanto ad Anna è sia
un percorso di crescita sia la consapevolezza di non “avere ancora conosciuto
il male né creduto di poterlo contrastare”. Con il male e la sua noncurante
casualità devono invece fare i conti Sergio e Anna. Il loro viaggio è un
inabissarsi nel tempo del ricordo e della memoria, alle radici della sofferenza
e della follia che li ha travolti e spezzati. La risposta di Anna è la fuga, la
ricerca spasmodica di un “altrove”- che non è solo il quartiere torinese con le
sue suggestioni multietniche, dove sceglie di rifugiarsi: ma è anche la
speranza, banale e illusoria, di una nuova vita, nell’oblio del suo amore per
Luigi. Sergio resta invece nella casa cupa ed enorme, dove si è consumata la
tragedia e cerca, attraverso la fede e la solitudine, lo spiraglio di un senso
ulteriore. Per lui l’ “altrove” è il luogo metafisico del perdono e della
compassione, è la speranza all’ombra fonda della croce. Proprio perché il
viaggio dei tre protagonisti si struttura nello spazio dell’interiorità la sua
traiettoria è definita dallo sguardo. Tutta la vicenda si svolge di fronte agli
occhi prima inconsapevoli, poi drammaticamente tesi a capire, del testimone
Luigi. Ma è lo sguardo sofferto di Sergio a cercare di penetrare il significato
della sua storia e di quella di sua moglie. Anna, motore, vittima e artefice
della vicenda, paradossalmente non guarda mai alla sua storia, si rifiuta quasi
fino all’ultimo se stessa e la sua colpa. Ma c’è uno sguardo che più di tutti
mi interessava mettere a fuoco, quello di Nina, la bambina di Anna e
Sergio. E’ Nina l’unica a vederci
chiaro, a comprendere quello che sta accadendo:
l’unica a vedere sua madre “nella sua realtà di donna infelice e
crudele… con l’abbandono e l’innocenza dei bambini che accettano tutto da
quelli che amano e se ne fanno una ragione”. Nina guarda sua madre con gli
occhi stessi di Dio. Lewis scriveva: “… vedere come Dio. Dio ci guarda perché
ci ama e ci ama benché ci veda”. E, infine, a chiudere il cerchio di
questo viaggio sempre in perdita è lo sguardo per eccellenza, quello di Dio.
Sergio ne è ben consapevole. Sa di non poter trovare altra strada per sé che il
rifiuto delle false consolazioni, del misticismo fine a se stesso o della
rassegnazione alla volontà di Dio, che è spesso solo il paludamento della
stanchezza esistenziale del credente.
Per quanto elusiva, la fede nel romanzo è l’unica risposta alla perdita,
al dolore e al male: ma come nella vita non può altro che rischiararne
debolmente le ombre.
I temi cardini della tua
scrittura sono presenti anche in questo romanzo, che di fatto è il primo che
hai pubblicato. Fra questi c’è l’ambientazione a Torino. Che rapporto hai con
la tua città e che differenze trovi con gli altri capoluoghi italiani?
Entrambi i miei romanzi si
svolgono a Torino. Più definita, più immediata la presenza della città in “Sul
lato oscuro della luna”, più evanescente in “Altrove”. E’ una Torino collocata
in una dimensione riconducibile ai giorni nostri ma per molti aspetti al di
fuori delle scontate coordinate di spazio e tempo; una città che partecipa
delle tormentate vicende dei protagonisti. Sono nata a Torino, ci vivo da
sempre, la respiro: non avrei saputo immaginare una cornice diversa.
Anche in Altrove, il protagonista ha un’adolescenza sconvolta dalla scoperta
della relazione segreta della madre con un amico del padre. In entrambi i romanzi
i rapporto dei figli maschi con le madri è conflittuale. C’è qualcosa che ti
spinge a vederla così o si tratta di semplice casualità?
Nell’adolescenza i conflitti sono
inevitabili. Entrambi i protagonisti dei miei romanzi sono maschi, ma Giulio ha
problemi irrisolti con tutti e due i genitori. Luigi invece vede qualcosa che
lo ferisce e che lo segna per sempre. Il rapporto tra genitori e figli è uno
dei nodi fondamentali nella vita e nella narrazione della vita che è il romanzo.
Sò che la stesura di questo
romanzo ti ha turbata molto. Che sensazioni ricordi in particolare?
Come ti sei accorto tu stesso
leggendolo “Altrove” è un romanzo cupo, forte, disturbante. Va a toccare uno
dei tabù più profondamente incisi nella natura umana, quello della maternità
disturbata e della violenza sull’infanzia. Viviamo purtroppo in una società
solo apparentemente disponibile all’accoglienza verso l’infanzia e la famiglia.
Ma l’ambivalenza del sentimento materno non può essere elusa da una facile
retorica o dalla paura di affrontare tutte le complessità dell’amore.
Distogliere gli occhi dall’oscurità e dall’abisso è una tentazione potente ma
sbagliata. Solo affrontando le più profonde paure, riconoscendole e dando loro
un nome, è possibile esorcizzarle. Il personaggio di Anna ha rivestito per me
il volto oscuro, orgonico, della maternità. Non ho voluto distogliere lo
sguardo per quanto male potesse fare. Neppure ho voluto comprendere, però,
perché credo come Sergio che all’uomo dal fondo della sua colpa, non sia
possibile perdonare ma soltanto affidarsi, per chi è credente, al potere ruvido
ed inavvertito della preghiera. Possibile e doveroso invece è provare
compassione, voler soffrire insieme, colpevoli e innocenti, del limite
condiviso della carne, di quest’umile e povera verità umana. Soprattutto mi
sembrava importante, mentre scrivevo, ascoltare la voce di Nina, dare una fisionomia
e una dolcezza concreta alla sua infanzia calpestata, perché i bambini, vittime
di violenza, scompaiono in ogni senso, anche a livello mediatico.
Parliamo del futuro. In questi
giorni sei impegnata nella sponsorizzazione di Sul lato oscuro della luna, ma quali progetti hai nel cassetto
pronti a realizzare?
In questo periodo sto lavorando a
due romanzi molto diversi come struttura e complessità. Uno è una storia
ambientata ai giorni nostri e racconta la storia d’amore tra due ragazzi
omosessuali, ma con un taglio differente da quello del “Lato oscuro della
luna”. Intanto perché non è scritto in prima persona e poi perché tratta
dell’incontro tra due realtà molto diverse e apparentemente in conflitto tra
loro. Il secondo romanzo invece è ambientato sul Lago Maggiore, durante la
seconda guerra mondiale e prende spunto, alla lontana, dall’eccidio di Meina.
Per finire, tra poco si in tutta
Italia ci saranno i gay pride. Tu andrai con la tua famiglia a sfilare nel
corteo o credi che manifestazioni di questo tipo non abbiano un senso per la
lotta dei diritti LGBTQ?
Io credo che i gay pride siano
uno strumento efficace di visibilità e
una potente vetrina mediatica, con tutti i pro e i contro che questo può comportare,
anche perché spesso a essere evidenziati, sui giornali o in televisione, sono
gli aspetti più “esagerati” e carnevaleschi, a discapito del messaggio di
legittima rivendicazione sociale. Sarebbe bello e auspicabile se tutti, gay ed
etero uniti, si preoccupassero di intervenire. In una società civile e
democratica sostenere i diritti di qualcuno significa lottare per i diritti di
tutti.
Intervista: Francesco Sansone
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