Le interviste: Livin Derevel - Esclusiva

Si conclude anche questo week end monotematico dedicato a Livin Derevel, prima di lasciarvi all'intervista all'autrice di Dirty Dreams, voglio anticiparvirvi che settimana prossima torna Consigli d'autore, la rubrica dove a consigliarvi i libri sono gli scrittori. Non perdetevala.
Buona Domenica

 



Le Interviste
  Livin Derevel
   Esclusiva


Nella foto: Immagine scelta dall'autrice


Livin, Dirty Dreams è un libro composto da 8 racconti che a poco a poco svelano la storia di Joel. Come è nato il progetto?
Come fanfiction. Mea culpa! Sì, Dirty Dreams in origine si trattava di una fanfiction con due protagonisti realmente esistenti, una coppia che non avevo mai esplorato prima e a cui volevo dare “soddisfazione” per così dire, avevo sempre girato intorno alla loro relazione ma mai approfondendola.
L’ascolto di una canzone - intitolata appunto Dirty Dreams - mi ha dato la spinta giusta, e il risultato eccolo qui.

Ogni capitolo parte dal un sogno per poi raccontare un poco in più della storia. Come mai hai scelto questo stile narrativo?
Mi sono lasciata trasportare dall’ispirazione. Scrissi i capitoli a molti giorni di distanza l’uno dall’altra, a volte ho lasciato passare anche settimane, perché avevo bisogno di trovare i dettagli giusti o l’idea di base perfetta. Mi sono presa il mio tempo per incastrare i pezzi giusti rivelando poco a poco il carattere dei personaggi e le vicende ai lettori.

Dirty Dreams, come lo stesso titolo suggerisce, è incentrato sul sesso. Cosa spinge un’autrice a scrivere di sesso gay?
Mah, domanda difficile. Io sono nata come autrice prettamente di slash (tematiche gay), raramente mi sono occupata di storie etero, e il sesso è uno dei tanti aspetti di questo genere.
Dal quel che ho visto nel mondo delle fanfiction, lo slash è una predisposizione (ride ndr). Penso che col pallino dello slash alcune ragazze ci nascano.
È altresì vero che amo questa narrativa soprattutto perché è diversa rispetto ai canoni, che io giudico discretamente banali. Molte storie d’amore a sfondo etero nei libri che si trovano oggi nelle librerie sono scontate, frivole e, nella maggior parte dei casi, ingiustificate. Forse la mia attrazione nei confronti delle storie gay deriva dal fatto che hanno in sé qualcosa di combattivo, di controcorrente, di più drammatico e per certi versi scandaloso.
E poi, se ci sono così tanti libri di erotismo etero, perché non anche gay?

Ti confesso che, leggendo il tuo libro, ho avuto l’impressione di vedere uno yaoi e quindi ti volevo chiedere se sei un’amante del genere e se così fosse, ti sei ispirata a questo genere?
Ho letto yaoi ma non mi sono per nulla ispirata a questo genere... non ne sono una grande fan.
Qualche anno fa li leggevo con entusiasmo, ma col tempo, e aumentando la mia esperienza nel campo della critica letteraria, mi sono completamente discostata, e anzi, ora mi vengono a noia.
Proprio l’anno scorso ho avuto l’occasione di comprarne qualcuno alla fiera di Lucca, ma leggendoli non ho fatto altro che strabuzzare gli occhi a causa dell’incoerenza della trama o della piattezza dei personaggi. Probabilmente ci sono yaoi molto meglio progettati, ma temo di essere ormai troppo lontana per poter riprendere i contatti con questa passione.

Un’altra caratteristica che colpisce del tuo lavoro è la scelta di ambientarlo negli Stati Uniti. Perché hai scelto gli States per creare l’ambientazione in cui muovere i tuoi personaggi?
In primis: amo gli States. Sono una patita di musica rock, e per me due mete fondamentali della vita sono New York e Los Angeles. Sono attratta dall’atmosfera completamente diversa che si respira rispetto a qui, da uno stile di vita differente, dai microcosmi e dalle realtà che riescono a convivere vicinissime, dalle luci sfavillanti e dal senso di libertà che ispirano.
In secondo luogo mi piace ambientare le mie storie in posti che non conosco come le mie tasche, perché ho la possibilità di fare ricerche, di informarmi, di inoltrarmi in terreni sconosciuti e imparare qualcosa in più del mondo.
Per la collana Atlantis per cui sono autrice ho scritto due racconti/reportage ambientati a Yerevan (Armenia) e Sapporo (Giappone), e per farlo ho dovuto spulciare guide, manuali e farmi una piccola cultura sulle loro società. Per me entrare in un’ottica che non è la mia è elettrizzante, è un modo per girare il mondo e per prepararmi quando lo farò davvero, è aprire la mente e uscire dai propri schemi.
Fa bene all’anima.

Che ruolo ha avuto la lettura nella tua vita e qual è il libro a cui sei legato e perché?
Leggo da quando ero alta un metro e una Vigorsol. Da bambina detestavo i miei compagni di scuola, e non essendomi mai creata un amico immaginario, tutta la mia attenzione era catalizzata dai libri, dalle storie, dai personaggi. Crescendo non ho abbandonato quest’abitudine, e da qualche anno sono riuscita anche a unire questa mia necessità intrinseca al dovere: sono diventata un recensore. Utile e dilettevole.
Non credo di avere un solo libro a cui essere affezionata, perché ce ne sono tanti che in periodi diversi mi hanno dato qualcosa.
Sicuramente due titoli importanti che mi hanno segnata sono stati Chiamami col tuo nome di André Aciman e Generation of Love di Matteo B. Bianchi. Hanno determinato una svolta nella mia vita, dapprima letteraria e poi ha influenzando il mio modo di vedere le cose.

Hai letto un libro a tematica gay che ti ha colpito? Se sì quale?
Vedi sopra: Chiamami col tuo nome e Generation of Love.

Che consiglio daresti a chi volesse intraprendere il tuo cammino di scrittore?
Non fare lo scrittore tanto per fare. Scrivi se hai qualcosa da dire, qualcosa da comunicare, scrivi se vuoi dire qualcosa di nuovo, scrivi cose che la gente non si aspetta e che probabilmente la lascerà a bocca aperta.
Se scrivi per essere come gli altri, meglio se fai qualcos’altro.

Intervista: Francesco Sansone