Week end monotematico: Mauro Colarieti - L'intervista
Si conclude il week end monotematico dedicato al giovane Mauro Colarieti e al suo romanzo d'esordio Costellazioni di brufoli e ovviamente chiudiamo questo appuntamento con l'intervista che ha rilasciato a Il mondo espanso dei romanzi gay.
Prima di lasciarvi alle sue risposte, vi anticipo che settimana prossima tornerà a trovarci Red Rose per parlarci del terzo e ultimo capitolo della saga di Perfect Sensuality.
Le interviste
Mauro Colarieti
Nella foto: Mauro Colarieti |
Mauro, “Costellazione di brufoli” è il tuo primo romanzo ed
è incentrato contemporaneamente sulle vite di Fabrizio e Lohn. Perché hai
scelto questa narrazione a due binari?
Inizialmente, devo ammetterlo, era stato programmato per
essere narrato solo da Fabrizio, ma, man mano che proseguivo nella stesura, mi
sono accorto di quanto Lohn avesse a sua volta una storia da raccontare. Ho
deciso di alternare le loro vite capitolo dopo capitolo perché, a mio parere,
rende la lettura più piacevole, meno incentrata su un personaggio solo. Senza
contare che sono molto curioso di sapere quale dei due protagonisti sia il
preferito dei lettori, che attraverso due punti di vista diversi, riescono a
capire meglio certe scelte e certe battute.
Lo trovi qui |
Soffermiamoci su Fabrizio. È un liceale che viene accolto
negli Artisti del Retrobottega, un gruppo esclusivo composto solo da gay molto
popolare nella scuola, e la sua vita cambia: trova il primo amore, ma anche la
prima delusione. Scopre il piacere del sesso e del divertimento sfrenato,
insomma una nuova vita. Ci parli della maniera con cui è nato il personaggio di
Fabrizio e la sua storia?
La storia di
Fabrizio è nata successivamente a quella di Lohn, ma nel romanzo appare
soprattutto nella prima parte. Mentirei se dicessi che è ispirata alla mia
vita, ma mentirei anche a dire che non ci sono stati dei particolari che ho
bellamente copiato da mie esperienze. Il cliché della promiscuità sessuale dei
giovani LGBT viene romanzata, esagerata, così come l’idea della casta gay, che
però esiste, in un certo senso, quando alcuni ragazzi si sentono in grado di
lottare per la parità dei diritti pur elogiando continuamente la propria
diversità.
Fabrizio impara
a divertirsi, a uscire fuori dagli schemi. Capisce che tutti devono sbagliare,
che è necessario contraddirsi per crescere. E sì, seppur sia cinico dall’inizio
del romanzo fino alla fine, Fabrizio riesce a poco a poco a comprendere meglio
il mondo che lo circonda.
Parliamo di Lohn. Si tratta di un ragazzo solitario, orfano di genitori, costretto
a lavorare per aiutare gli zii con i quali vive. Emarginato per via della sue forme
abbondanti, saranno proprie queste a catapultarlo in un nuovo mondo. Anche per
questo personaggio, mi parli di come è nato e di come hai sviluppato la sua
storia?
Lohn è l’ennesimo remake di un'altra sfilza di personaggi
abbastanza simili, a cui però mancava qualcosa, quel fattore che mi potesse
convincere appieno della validità del loro background. Ho sempre trovato
ingiusto che nel 90% dei film, libri, serie tv e cartoni, i ragazzi in carne
fossero scherniti, visti come dei pigri mangioni stupidi, finalizzati a far
ridere il pubblico o ad avere un ruolo marginale come spalla del protagonista
sfigato. Lo trovo dissacrante e credo che Lohn sia la rappresentazione di
questo mio pensiero: un ragazzo bellissimo che, anche con difetti evidenti,
riesce a rimanere se stesso, nonostante il mondo intero lo spinga a cambiare.
Personalmente ammiro Lohn, è il “raccomandato” tra i miei personaggi: soffro
quando devo farlo soffrire, anche se non si direbbe.
Seppur separate, le storie hanno molto punti in comune,
mostrando i disagi giovanili a prescindere da un’etichetta. Che messaggio hai
voluto trasmettere al lettore con il romanzo?
Il primo messaggio che ho sempre puntato a trasmettere è
l’orgoglio per i propri difetti e la consapevolezza dei propri problemi e di
quelli degli altri. Far capire come ognuno abbia qualcosa da risolvere, da
affrontare, indipendentemente da come si chiama o da dove viene. Credo che la
gente spesso lo dimentichi, diventando opportunista o perfida. Un altro
messaggio che ho voluto mandare ai lettori è quasi una provocazione. Il non
inserire personaggi eterosessuali è voluto, infatti: pur narrando vicende di
personaggi principali esclusivamente LGBT, ho cercato di creare una trama,
delle dinamiche... non sarebbe cambiato nulla se fossero stati etero, a parte
forse l’attirare una fetta di lettori un po’ maggiore. Credo sia qualcosa in
grado di far riflettere. Gli adolescenti sono tutti simili, anche se vengono
trattati spesso in modo diverso.
Come accennavo, “Costellazione di brufoli” è il tuo primo
romanzo e lo pubblichi a soli diciotto anni. A questo punto non posso non
chiederti: quando hai iniziato a scrivere?
Alle elementari preferivo molto dipingere e disegnare. Per
esprimere meglio i miei pensieri, però, ho cominciato a creare dei mini-fumetti
(davvero molto macabri, a dire il vero). Arrivando alle scuole medie, dopo
essermi fatto una cultura a suon di “Piccoli Brividi”, ho cominciato a scrivere
racconti horror. Ho, però, iniziato il progetto “Costellazione di brufoli” in
prima superiore, in contemporanea con le prime pubblicazioni sul sito di
fanfiction EFP... ma, riprendendo ciò che ho detto prima, si possono
intravedere degli abbozzi di Lohn anche in storie scritte per i temi scolastici
delle medie. Arriviamo poi al 2 Aprile, giorno successivo al mio diciottesimo
compleanno, giorno della pubblicazione del mio primo romanzo.
Adesso anche in ebook. Qui |
Che cosa significa per te scrivere e cosa ti trasmette
l’isolarti fra le storie che hai per la testa?
Significa nascondersi dalla noia, evolvere dei pensieri
sempre più definiti. L’idea di dare vita a dei personaggi mi elettrizza ogni
volta, proprio perché sono persone che prima non c’erano e ora ci sono. Il
caratterizzarli, il creare delle storie che spieghino i loro comportamenti, è
ciò che mi diverte di più, solitamente; quasi più del farli interagire tra di
loro o dello scrivere dialoghi.
C’è un libro a tematica gay che, leggendolo, ti ha aiutato a
capire meglio questo mondo? Se sì, quale e perché?
Non sono tutti a tematica gay, quindi più che a capire
meglio “questo mondo”, mi hanno dato degli spunti per migliorare il mio modo di
scrivere: in primis, è stato fondamentale “The Giver” di Lois Lowry, letto ancora
quando ero alle medie, che mi ha condizionato in maniera assurda per le sue
frasi brevi ma efficaci. Aggiungo anche “13” di Jay Asher, “Wonder” di Palacio
e “Gli sterminati campi della normalità” di Nick Burd, che sono i libri a
tematica “outcast” che preferisco, per la loro freschezza e per il loro
realismo. Inoltre, “Invisible Monsters” di Palahniuk e “Boy meets boy” diLevithan sono due romanzi che mi hanno insegnato a lasciarmi andare, a
sperimentare tutto senza sollevare vari paletti riguardo allo stile o alla
narrazione o a cosa sono in grado di trasmettere.
Per concludere, che
consiglio ti senti di dare ai tuoi coetanei che vogliono pubblicare il proprio
romanzo?
Questa è una domanda che mi hanno posto in molti, e secondo
me la cosa fondamentale è non aver paura di risultare banali o scontati. Se il
tuo lavoro vale, perché non darti una possibilità? Conosco miei coetanei che
sono convinti che inviando il loro romanzo agli editori firmeranno la loro
condanna a morte: hanno paura del plagio, dei giudizi altrui, di pentirsene.
Forse me ne pentirò pure io, un giorno, ma per ora sono felice, contento,
soddisfatto e orgoglioso. In fin dei conti, un libro pubblicato è sempre un
libro che è stato scelto tra diversi manoscritti: se un editore lo accetta
senza chiederti dei soldi, è perché vale (soprattutto in un periodo nero
dell’editoria italiana come questo). Bisogna andare fieri delle proprie
passioni, e iniziare da giovanissimi non è per forza “troppo precoce”.
Intervista: Francesco Sansone
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